Antoine Doinel ha 12 anni,
animo ribelle e vive con la giovane madre, negligente, ed il patrigno,
superficiale, che non sono capaci di comprenderne la natura inquieta ed
esuberante. Il ragazzo, sbandato, cerca di attirare, invano, la loro attenzione
e trascorre le giornate tra marachelle, piccoli furti, cinema, luna park e marinando spesso la scuola. Dopo aver visto
la madre baciare un altro uomo, il suo comportamento peggiora: scappa di casa e
ruba una macchina da scrivere nell’ufficio del padre per pagarsi una gita al
mare, che non ha mai visto. Abbandonato dai suoi, finirà in riformatorio.
Eccezionale esordio cinematografico di Truffaut con quello che viene
unanimemente considerato il manifesto cinematografico più autorevole e
commovente della Nouvelle Vague. E’
anche l’esordio del personaggio di Antoine Doinel, autentico alter ego del
regista, che tornerà in altre quattro delle sue opere (l’ultima del 1978),
sempre interpretato da Jean-Pierre Léaud. Ispirata, in parte, ad eventi autobiografici,
è una struggente elegia sul mondo dell’infanzia, di cui celebra la magia, l’incanto,
la libertà, ma anche la sofferenza ed il dramma che nascono dall’incomprensione
e dalla mancanza di una famiglia unita. Con uno stile asciutto, minimale,
profondamente verista, che rimanda a Vigo ma anche a Rossellini, impaginato in
un malinconico bianco e nero, ha il suo tripudio emotivo nel finale poetico,
famosissimo, divenuto un simbolo del cinema francese ed entrato, a pieno
diritto, nell’immaginario collettivo. La corsa di Antoine, capelli al vento,
verso il mare è quella, entusiasta e timorosa, di ogni bambino che si avvia
all’adolescenza, al mistero meraviglioso e infinito della vita. La critica alle
grandi istituzioni assenti e colpevoli nei confronti di Antoine, famiglia,
scuola e poi riformatorio, è ferocemente incisiva, ma anche sfacciata, perché
tutto viene filtrato attraverso il punto di vista infantile: l’occhio del
regista coincide con quello del suo giovane protagonista e ce ne rimanda, senza
filtri e senza freni, il turbinio di emozioni di un’esistenza in divenire, in
cui ogni cosa appare possibile. L’immagine iconica della Torre Eiffel, di
grande significato sentimentale per Truffaut, compare nei momenti topici della
pellicola, quasi accompagnando l’infanzia del protagonista. Il titolo italiano,
traduzione letterale dell’originale “Les Quatre Cents Coups”, non rende il
senso dell’originale, derivato da un’espressione tipicamente francese che
equivale alla nostra “fare il diavolo a quattro”, riferendosi alla turbolenza
di Antoine. Il film vinse il Gran premio speciale della giuria al Festival di
Cannes del 1959 e venne candidato agli Oscar per la migliore sceneggiatura
originale, scritta dal regista con Marcel Moussy.
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