Adam e
Eve sono due vampiri affascinanti, raffinati, colti e benestanti che “vivono”
da centinaia di anni assorbendo, oltre al sangue essenziale al loro nutrimento,
il meglio del mondo in termini di arte, bellezza e cultura. Testimoni
privilegiati e nascosti di tanta storia umana, hanno attraversato le epoche
finendo per relegarsi in due rispettive “prigioni d’avorio” a migliaia di
chilometri di distanza: Adam è un musicista tetro e solitario, incline alla
malinconia ed al desiderio di morte, che ha scelto di vivere a Detroit tra
chitarre, amplificatori ed orpelli vintage. Eve è una donna libera, socievole,
dotata di una grazia naturale e di un profondo amore per la letteratura di
qualsivoglia paese, che vive in Marocco tra ornamenti preziosi e suggestioni
orientali. I due, che sono amanti, hanno scelto un elitario isolamento che li
porta a interagire il meno possibile con gli umani, nutrendosi solo di sangue
puro, prodotto in laboratorio, ottenuto grazie a medici compiacenti, lautamente
ricompensati. Ma l’arrivo della selvaggia sorella di Eve, vampira vorace ed
incontrollabile, finisce per spezzare il cerchio virtuoso faticosamente
costruito dai due intorno alla loro esistenza,
facendo entrare il caos del mondo nel loro secolare e dorato silenzio. Jim
Jarmusch, elegante regista americano che
da sempre guarda al cinema europeo, mette in scena l’ennesima raffigurazione
del mito del vampiro con questo quieto dramma funereo, incline alla malinconica
decadenza ed alla ricercata rarefazione, pervaso da lunare romanticismo
splendidamente incarnato dai due protagonisti, in cui la magnetica Tilda
Swinton, ormai archetipo di bellezza “distante” e non convenzionale,
giganteggia. La “vita” di cui si parla
nell’intrigante titolo, che è poi una vita “in negativo” secondo la tradizione
vampirica, non è quella biologica bensì
quella spirituale, connessa a una dimensione superiore di bellezza, incanto,
illuminazione, affine alle manifestazioni più alte dell’essere umano, espresse
dall’arte e, quindi, eterne. Il rispetto contemplativo dei due vampiri per
tutto questo, ma anche per la natura e per il destino di questo vecchio mondo
che va in frantumi, è l’amore, contrapposto alla sgraziata superficialità dei
“mortali” che stanno distruggendo l’ambiente e calpestando la memoria in nome
del consumismo sfrenato e della smodata rapacità. Chi sono i veri vampiri ? Chi
vive realmente nel buio ? E chi nella luce ? Sono queste le domande a cui il
regista sembra interessato. La risposta, ovvia, ha il sapore, politico,
dell’annosa disputa tra disimpegno intellettuale ed impegno civile, tra teorici
ed attivisti. Ma il film è anche un pregevole elogio dell’arte, la nobile
scintilla divina presente negli umani, come forma suprema da opporre al dolore,
alla bestialità, all’ignoranza, alla morte, celebrando così una miracolosa
magia che unisce, e travalica, tutte le epoche. Non privo di ironiche trovate
surreali (il gelato al sangue), ci conduce con carezzevole malia attraverso
l’ennesimo itinerario notturno della carriere dell’autore, in cui, come sempre,
il viaggio conta più della meta. Onirico e suggestivo nelle meravigliose
sequenze tra i vicoli di Tangeri, le strade deserte di Detroit e le sontuose
stanze barocche, è un’opera di alto valore estetico e di imponente forza
simbolica che dona nuova luce, e rinnovato spessore, all’abusata filmografia
vampirica.
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