Los Angeles, anni ’20:
Christine Collins è una giovane ragazza madre emancipata, che lavora come
centralinista per crescere suo figlio Walter, di nove anni. Un giorno il
piccolo, lasciato solo in casa dalla madre, scompare nel nulla e, dopo cinque
mesi di ricerche, la subdola polizia locale, coinvolta in continui scandali e
corruzioni, consegna alla donna un bambino che afferma di essere Walter ma che,
in realtà, non è lui. Di fronte all’atteggiamento pugnace di Christine, che
afferma con decisione che il bimbo ritrovato non è suo figlio, le autorità, che
hanno fretta di chiudere il caso per calmare l’opinione pubblica, accusano la
donna di infermità mentale e la rinchiudono in un manicomio. Tratto da una
storia vera e diretto con mestiere dall’esperto Eastwood, è un intenso dramma
di denuncia sociale che vira nel noir e che ricostruisce con ammirevole dovizia
di particolari ed impeccabile allestimento scenico la California della Grande
Depressione e tutto il suo sottobosco di soprusi e connivenze. Senza mai alzare
la voce ma con estremo rigore, classe sopraffina e pungente capacità analitica,
il grande regista di San Francisco ci consegna un’altra perla eccellente della
sua filmografia che affronta con stile asciutto tanti temi scottanti: le
ingiustizie del potere ai danni dei cittadini più deboli, la dura lotta per
l’emancipazione femminile, la corruzione come lato oscuro di ogni democrazia, il
dilemma morale sulla legittimità della pena di morte, l’innocenza impunemente
rubata ai bambini dal male del mondo. Evitando accuratamente le trappole della
retorica, del moralismo e del pietismo, Eastwood traccia un ritratto
realistico, brutale e toccante dell’America di quegli anni, con almeno due
scene madri che sarà difficile cancellare dalla memoria ed una lunga parte finale
da vivere tutta d’un fiato, con colpi di scena drammatici, momenti di reale
commozione e persino qualche incursione nell’horror. Ancora una volta la sua
capacità di fare cinema classico in epoca moderna e la sua innata bravura nella
direzione degli attori lasciano ammirati e non possono che strappare applausi.
Tra documento, denuncia, romanzo, critica sociale e sentimenti, il film coglie
nel segno, senza mai dimenticare le sfumature di contorno, ed il vecchio leone
Clint esce di nuovo vincitore, riconfermandosi come uno dei migliori registi
americani degli ultimi decenni. Una menzione di lode va altresì fatta alla
splendida fotografia desaturata, che rimanda all’atmosfera di quegli anni, alla
notevole interpretazione di un’intensa Angelina Jolie, al montaggio altamente espressivo
e alle struggenti musiche dello stesso Eastwood.
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