Los Angeles, anni ’30: il detective
Gittes, ingaggiato dalla signora Evelyn Mulwray per indagare sulla presunta
infedeltà del marito, scopre che la donna che gli ha commissionato l’incarico
non è la vera moglie di Mulwray. Intanto questi, ingegnere che lavora per il
comune, viene trovato annegato in un bacino artificiale. Gittes si rende conto
di essere stato usato e di essere finito nell’ingranaggio di una sporca
macchinazione, che nasconde un traffico illecito di acqua a danno della rete
idrica pubblica. Aiutato dalla vera signora Mulwray, con cui nascerà una
relazione sessuale, Gittes arriva alla mente criminale che si trova dietro la
speculazione: il diabolico e potente Noah Cross, padre di Evelyn, che ha avuto
con lei rapporti incestuosi. L’ultimo film americano di Roman Polanski è un
capolavoro assoluto del noir moderno, o “neonoir”, un formidabile omaggio ai
classici del genere, in particolare alle opere “hard boiled” di Raymond Chandler, per le ambientazioni
californiane, il detective cinico e risoluto, la dark lady conturbante ed
ambigua, i quartieri moralmente degradati, la polizia corrotta ed il male
incarnato in uno spietato “demiurgo” che muove ogni cosa. Costruito sulla
monolitica sceneggiatura di Robert Towne, premiata con l’Oscar (l’unico vinto
su ben 11 candidature), questo splendido poliziesco nero americano, diretto da
un maestro di cinema europeo, è uno stupefacente ibrido d’autore che fonde
insieme le suggestioni noir di matrice chandleriana con le atmosfere stranianti
da incubo kafkiano tipiche del regista polacco. Sontuosa fotografia retrò dai
toni ambrati, che pone in fulgido contrasto la luminosa solarità delle
ambientazioni, principalmente diurne, con il cuore nero della vicenda, regia
secca e magistrale, grandi interpretazioni del cast stellare, Jack Nicholson,
Faye Dunaway e il regista John Huston nel ruolo del perfido patriarca, messa in
scena elegante, dialoghi taglienti, situazioni torbide, per un capolavoro,
sospeso tra classico e moderno, che, pur rispettando la tradizione, la rinnova
con elementi spuri, dal tono sulfureo, disturbante, radicati in quei traumi
psicologici e nella paura dell’ignoto che hanno sempre accompagnato il cinema
polanskiano. Il fulcro della storia è l’acqua, l’elemento vitale per
eccellenza, che scorre per tutto il film, come sangue nelle vene della città
corrotta, accompagnando l’indagine di Gittes, provocando la morte, ma determinando
anche le scoperte cruciali, come l’identità del suo “proprietario”. Persino il
nome del cattivo, Noah, altisonante nella sua dimensione biblica, è legato,
inevitabilmente, all’acqua, al diluvio, al lavacro universale, che però qui non
monda i peccati, bensì li copre. La ricerca di Gittes della fonte dell’acqua
diventa metafora dell’uomo che cerca l’origine della vita, ma si conclude con
una resa dolorosa, la sommessa constatazione della mancanza di senso e di
giustizia. Straordinario l’uso degli indizi allegorici seminati qua e là dal
regista, si pensi, ad esempio, all’imperfezione nell’iride di Evelyn come
sinistro presagio, per poi ricomporli tutti nell’epilogo beffardo e crudele,
perfetta declinazione del pessimismo polanskiano in merito alla possibilità
dell’uomo di cambiare il proprio destino. Il celebre finale, amaro e memorabile,
fu voluto dal regista, che si impose sulla produzione ad ogni costo, ed è un
valore aggiunto che dona al tutto un senso di sconfitta, tipicamente
chandleriano, ergendo il film ad apologo beffardo dell’umana corruzione e del
potere criminale, cancro inestirpabile della società capitalistica, in un mondo
senza possibilità di appello o di riscatto. E’ il miglior film di Roman
Polanski, che si ritaglia anche un piccolo cameo nei panni del viscido gangster
che taglia il naso al detective protagonista, e una delle vette assolute del
genere noir, superato solo da quelli, monumentali, di Wilder e di Welles. Ha anche
avuto un seguito nel 1990, nettamente inferiore, Il grande inganno, diretto e interpretato da Jack Nicholson.
La
frase: “Lascia stare, Jack, è Chinatown!”
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