LaFayette è un giovanotto,
prestante e confuso, che vive in uno scantinato di New York, lavora come
elettricista in un museo delle cere, fa il tecnico delle luci per un gruppo di
femministe aspiranti attrici teatrali, si circonda di amici anziani e stravaganti
ed è combattuto tra il desiderio di avere un figlio e la paura di farlo
crescere in questo mondo alla deriva. Alla fine decide di adottare una scimmia,
rifiutando di riconoscere il figlio che la bella Angelica aspetta da lui. Ma la
tragica fine dello scimpanzé lo sconvolge, spingendolo alla morte tra le fiamme
del museo in cui lavora. Ma, intanto, Angelica metterà al mondo la figlia
di LaFayette. Oscuro dramma visionario
in chiave apocalittica, che prefigura, forte di un surrealismo allucinato e di
un apparato simbolico straordinario, il crollo della civiltà moderna per colpa
dell’egoismo umano, che lo ha relegato in un aberrante delirio di potenza. Il
punto di forza assoluto di quest’incubo metropolitano, astratto ed
affascinante, è nella grande valenza immaginifica degli scenari: distanti,
onirici, quasi sospesi in un limbo straniante. Una New York così alienante, statica
come un fondale disegnato, simbolo archetipo della decadenza occidentale, non
si era mai vista sul grande schermo e, probabilmente, non si vedrà mai più. Questa
distorta parabola del presente, riletto in chiave pessimistica, intende donarci
un’inquietante visione del prossimo futuro, in termini di caduta di un mondo,
quello dell’uomo moderno, edificato sull’utopia del potere. Nel film brillano intense alcune
sequenze di grande forza evocativa, basate su immagini memorabili, tra le più
possenti del cinema italiano. Su tutte scegliamo quella, famosissima, della
carcassa di King Kong sulla spiaggia di Long Island, con le torri gemelle che
svettano sullo sfondo, splendida icona metaforica di un imperialismo imponente,
ma votato all’autodistruzione. Ma va citato anche il grottesco “stupro” di
massa, subito da LaFayette dalle femministe assatanate; una delirante pagina di
irriverente provocazione, in perfetto stile Ferreri. L’autore milanese, come
sempre, intende fornirci una sua personale visione della fase storica in cui viviamo,
artisticamente deformata da una prospettiva grottesca, e qui ci offre un mondo
capovolto, inerte, affetto da anomia, incapace di assumersi reali
responsabilità, preferendo ad esse surrogati, paradisi artificiali, utopie
culturali, masturbazioni ideologiche, vani sollazzi latori dell’imminente
sconfitta. Ma l’immagine finale, madre e figlia nude su una spiaggia, reca un
vago conforto: se c’è una speranza va riposta nella donna, sembra dirci,
nuovamente, il regista. Nel cast ricordiamo la presenza di Gérard Depardieu,
Marcello Mastroianni e la splendida pornodiva Abigail Clayton, che ci regala
indimenticabili nudi artistici. Premiato al Festival di Cannes con il Gran Premio Speciale della Giuria, è tra le
più complesse, e riuscite, pellicole dell’autore.
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