venerdì 16 gennaio 2015

La battaglia di Algeri (La battaglia di Algeri, 1966) di Gillo Pontecorvo

La guerra per l’indipendenza algerina dal dominio francese raccontata negli eventi salienti, tra il 1954 e il 1962: la vicenda umana di Alì La Pointe, passato da comune delinquente a capo del Fronte di Liberazione Nazionale, gli attentati, la sanguinosa guerriglia di strada, l’arrivo dei parà comandati dallo spietato colonnello Mathieu, la repressione, le torture, il rastrellamento porta a porta nella casbah di Algeri, la morte di La Pointe, fino alla presa di coscienza popolare che porterà alla libertà del popolo algerino. Straordinario capolavoro del nostro Pontecorvo, è una delle vette artistiche del cinema italiano e, in assoluto, del genere storico. Fedele al concetto di cinema verità, ereditato dal neorealismo, ne espande la portata con un formidabile rigore formale, denso, teso, asciutto, così vicino al documento da  risultare un formidabile trattato di cronaca storica, uno scioccante diario di guerra, così vero e brutale da risultare indimenticabile. Tra Ejzenštejn e Rossellini, ma con un vigore narrativo totalmente personale, il regista pisano rievoca con sobrietà ed assoluta aderenza al realismo, la dura lotta per l’indipendenza del popolo algerino dalla potenza coloniale francese, restituendocene, attraverso immagini di memorabile verismo e di fulgida potenza tragica, le sensazioni, i suoni, le suggestioni, gli orrori. Girato tra i suggestivi vicoli della casbah di Algeri in un bianco e nero “sporco”, che ricorda i filmati da cinegiornale d’epoca, con un frequente uso della camera a mano, che garantisce un dinamismo incalzante ed un magistrale patos narrativo, è un’opera capitale, un riferimento assoluto per il genere di guerra storico, che ha creato un modello di stile così alto da rimanere inimitabile. Pontecorvo, fedele alla sua estrazione operaia, raffigura una tragica epopea civile, con il popolo assoluto protagonista, parteggiando, evidentemente, per esso e dando vita ad una lucida e scomoda riflessione sul destino del terzo mondo, sul colonialismo, sulla lotta all’oppressione e sulle radici ideologiche di quel male che, oggi più che mai, ha generato lo strappo tra cultura occidentale e cultura islamica. Il suo montaggio “intellettuale”, ereditato dal cinema russo, si attua nella sbalorditiva commistione tra immagini e musica, composte da Ennio Morricone con la supervisione del regista. Il notevole score musicale, possente e magmatico come il film, è un’ardita mescolanza di ritmi maghrebini, sonorità occidentali, canti liturgici e percussioni martellanti. Pur essendo evidente lo sguardo pietoso e solidale dell’autore per l’Algeria oppressa, la pellicola evita l’ottuso manicheismo, presentandoci luci e ombre da ambo i fronti dello schieramento, come le riflessioni sull’assurdo orrore della guerra presenti nei discorsi sia dei soldati francesi che dei ribelli algerini. La vigorosa valenza politica dell’opera suscitò reazioni forti e contrastanti: in Francia il film fu bandito, in Italia divise la critica, ma fu generalmente osannato in tutto il mondo, America compresa. Premiato con il Leone d'Oro al Festival del Cinema di Venezia del 1966, è uno dei più mirabili manifesti artistici del cinema d’impegno civile, un modello socioculturale di grande influenza per i posteri, che ha finito per trascendere il mezzo cinematografico, diventando un simbolo eccellente del documento storico.

Voto:
voto: 5/5

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