La guerra per l’indipendenza algerina dal
dominio francese raccontata negli eventi salienti, tra il 1954 e il 1962: la
vicenda umana di Alì La Pointe,
passato da comune delinquente a capo del Fronte di Liberazione Nazionale, gli
attentati, la sanguinosa guerriglia di strada, l’arrivo dei parà comandati dallo
spietato colonnello Mathieu, la repressione, le torture, il rastrellamento
porta a porta nella casbah
di Algeri, la morte di La
Pointe, fino alla presa di coscienza popolare che porterà
alla libertà del popolo algerino. Straordinario capolavoro del nostro Pontecorvo,
è una delle vette artistiche del cinema italiano e, in assoluto, del genere
storico. Fedele al concetto di cinema verità, ereditato dal neorealismo, ne
espande la portata con un formidabile rigore formale, denso, teso, asciutto,
così vicino al documento da risultare un
formidabile trattato di cronaca storica, uno scioccante diario di guerra, così
vero e brutale da risultare indimenticabile. Tra Ejzenštejn e Rossellini, ma
con un vigore narrativo totalmente personale, il regista pisano rievoca con
sobrietà ed assoluta aderenza al realismo, la dura lotta per l’indipendenza del
popolo algerino dalla potenza coloniale francese, restituendocene, attraverso
immagini di memorabile verismo e di fulgida potenza tragica, le sensazioni, i
suoni, le suggestioni, gli orrori. Girato tra i suggestivi vicoli della casbah di Algeri in un bianco e nero
“sporco”, che ricorda i filmati da cinegiornale d’epoca, con un frequente uso
della camera a mano, che garantisce un dinamismo incalzante ed un magistrale
patos narrativo, è un’opera capitale, un riferimento assoluto per il genere di
guerra storico, che ha creato un modello di stile così alto da rimanere
inimitabile. Pontecorvo, fedele alla sua estrazione operaia, raffigura una
tragica epopea civile, con il popolo assoluto protagonista, parteggiando,
evidentemente, per esso e dando vita ad una lucida e scomoda riflessione sul
destino del terzo mondo, sul colonialismo, sulla lotta all’oppressione e sulle
radici ideologiche di quel male che, oggi più che mai, ha generato lo strappo
tra cultura occidentale e cultura islamica. Il suo montaggio “intellettuale”,
ereditato dal cinema russo, si attua nella sbalorditiva commistione tra
immagini e musica, composte da Ennio Morricone con la supervisione del regista.
Il notevole score musicale, possente e magmatico come il film, è un’ardita
mescolanza di ritmi maghrebini, sonorità occidentali, canti liturgici e
percussioni martellanti. Pur essendo evidente lo sguardo pietoso e solidale
dell’autore per l’Algeria oppressa, la pellicola evita l’ottuso manicheismo,
presentandoci luci e ombre da ambo i fronti dello schieramento, come le
riflessioni sull’assurdo orrore della guerra presenti nei discorsi sia dei
soldati francesi che dei ribelli algerini. La vigorosa valenza politica
dell’opera suscitò reazioni forti e contrastanti: in Francia il film fu
bandito, in Italia divise la critica, ma fu generalmente osannato in tutto il
mondo, America compresa. Premiato con il Leone d'Oro al Festival del Cinema di
Venezia del 1966, è uno dei più mirabili manifesti artistici del cinema
d’impegno civile, un modello socioculturale di grande influenza per i
posteri, che ha finito per trascendere il mezzo cinematografico, diventando un
simbolo eccellente del documento storico.
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