mercoledì 28 gennaio 2015

Gli amanti crocifissi (Chikamatsu Monogatari, 1954) di Kenji Mizoguchi

Kyoto, 1683: un uomo e una donna vengono accusati, ingiustamente, di adulterio, reato punito con la morte a quel tempo. Costretti alla fuga, diventeranno realmente amanti e nulla potrà salvarli dalla pubblica crocifissione. Tratto dal testo letterario del drammaturgo Chikamatsu Monzaemon, questo struggente melodramma tragico è uno dei capolavori del grande regista asiatico. Tutto costruito sul contrasto tra il lirismo della vicenda amorosa, il realismo della ricostruzione storica e l’efferatezza delle leggi seicentesche giapponesi, verso cui l’autore si pone con lucido senso critico, è una possente sinfonia epico sentimentale raccontata in forma di mito, conferendo una dimensione eroica alla libertà dell’amore rispetto alle rigide convenzioni umane. Come sempre Mizoguchi si focalizza sulla condizione femminile, vessata da un sistema governato da maschi pensato a proprio uso e consumo, e si ispira, esteticamente, al teatro di marionette jojuri, componendo immagini oppressive, realizzate secondo spazi scenici di geometria rettangolare, in cui i personaggi si muovono come burattini manovrati dal peso schiacciante delle rigide convenzioni sociali. Al feroce realismo ambientale, l’autore affianca suggestioni fantastiche, liriche, nei momenti intimi tra i due sfortunati amanti, che vivono la forza del loro sentimento come una proiezione ideale del proprio spirito, che anela alla libertà, seppur costretto in un labirinto di leggi arcaiche e disumane. Mettendo la trasgressione al centro dell’opera, il regista la costella di numerose simbologie infauste, sinistri presagi sul destino che attende i due protagonisti: le scure acque del lago, la nebbia, la cupezza della notte durante la loro fuga, la capanna con le sbarre. Il loro incedere verso la morte sarà tortuoso, ma ineluttabile, ed il loro legame diventa l’emblema di un vincolo mitologico, che vede eternamente uniti eros e thanatos. Tuttavia, proprio nella forza di questo sentimento fatale, i due troveranno gli unici fugaci momenti in cui spezzare le catene dell’oppressione e dell’inerzia di una vita condotta al servizio degli altri, accontentandosi di vivere come sudditi ubbidienti a regole di sottomissione. C’è, dunque, un eroismo eversivo nella loro dolente parabola terrena, emblema di come lo spirito umano possa librarsi in alto, sovrastando persino la vergogna di una spietata condanna sociale, inventata da un’oligarchia di uomini per meri fini repressivi.

Voto:
voto: 4,5/5

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