Kyoto, 1683: un uomo e una donna vengono
accusati, ingiustamente, di adulterio, reato punito con la morte a quel tempo.
Costretti alla fuga, diventeranno realmente amanti e nulla potrà salvarli dalla
pubblica crocifissione. Tratto dal testo letterario del drammaturgo Chikamatsu
Monzaemon, questo struggente melodramma tragico è uno dei capolavori del grande
regista asiatico. Tutto costruito sul contrasto tra il lirismo della vicenda
amorosa, il realismo della ricostruzione storica e l’efferatezza delle leggi
seicentesche giapponesi, verso cui l’autore si pone con lucido senso critico, è
una possente sinfonia epico sentimentale raccontata in forma di mito,
conferendo una dimensione eroica alla libertà dell’amore rispetto alle rigide
convenzioni umane. Come sempre Mizoguchi si focalizza sulla condizione
femminile, vessata da un sistema governato da maschi pensato a proprio uso e
consumo, e si ispira, esteticamente, al teatro di marionette jojuri, componendo immagini oppressive,
realizzate secondo spazi scenici di geometria rettangolare, in cui i personaggi
si muovono come burattini manovrati dal peso schiacciante delle rigide convenzioni
sociali. Al feroce realismo ambientale, l’autore affianca suggestioni
fantastiche, liriche, nei momenti intimi tra i due sfortunati amanti, che
vivono la forza del loro sentimento come una proiezione ideale del proprio
spirito, che anela alla libertà, seppur costretto in un labirinto di leggi arcaiche
e disumane. Mettendo la trasgressione al centro dell’opera, il regista la
costella di numerose simbologie infauste, sinistri presagi sul destino che
attende i due protagonisti: le scure acque del lago, la nebbia, la cupezza
della notte durante la loro fuga, la capanna con le sbarre. Il loro incedere
verso la morte sarà tortuoso, ma ineluttabile, ed il loro legame diventa
l’emblema di un vincolo mitologico, che vede eternamente uniti eros e thanatos.
Tuttavia, proprio nella forza di questo sentimento fatale, i due troveranno gli
unici fugaci momenti in cui spezzare le catene dell’oppressione e dell’inerzia
di una vita condotta al servizio degli altri, accontentandosi di vivere come sudditi
ubbidienti a regole di sottomissione. C’è, dunque, un eroismo eversivo nella
loro dolente parabola terrena, emblema di come lo spirito umano possa librarsi
in alto, sovrastando persino la vergogna di una spietata condanna sociale,
inventata da un’oligarchia di uomini per meri fini repressivi.
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