Tenente di polizia
corrotto, lurido, brutale, alcolizzato, drogato e pervertito, simbolicamente
lasciato senza nome dall’autore, abbraccia una giusta causa, occupandosi del
caso di una giovane suora violentata da due balordi. Sconvolto dalla reazione
della donna, che perdona i suoi aggressori, cade nel baratro dei sensi di colpa
ed imbocca, senza saperlo, un doloroso percorso di redenzione. Ma sarà un
percorso tragico e definitivo. Straordinario noir, sporco e cattivo, del “bad
guy” del cinema americano, Abel Ferrara, regista eclettico, selvaggio,
passionale, trasgressivo, eccessivo, diseguale e geniale. In questo che è uno dei suoi film migliori e più significativi, il controverso autore del Bronx porta
tutte le sue tematiche forti, le sue ossessioni personali, i suoi stilemi estetici,
con l’enfasi disperata che da sempre lo contraddistingue ma anche con la
rigorosa lucidità di un oscuro “profeta”, stoicamente fedele alla sua
concezione del mondo. Tra Peckinpah e Scorsese, sesso e violenza, peccato e
redenzione, colpa e innocenza, questo visionario nero d’autore, sospeso tra
osceno e sublime, è una struggente parabola cattolica travestita da cupo incubo
metropolitano, che cerca il sacro nel sordido, il riscatto nel degrado,
attuando la catarsi nel senso più cristologico del termine. Stupefacente
interpretazione di Harvey Keitel, che si è donato anima e corpo al progetto, regalandoci
un cattivo di incredibile spregevolezza e di intensa sofferenza interiore, in
quella che è, probabilmente, la performance più alta della sua lunga carriera.
La scena cult, indubbiamente memorabile, per cui il film è diventato famoso, è
quella in cui un Cristo martoriato e silenzioso appare in chiesa al tenente
che, di contro, gli urla a muso duro tutto il suo dolore, la sua vergogna e la
sua disperazione. Sovraesposto e tormentato, il tenente di Keitel è
un’incarnazione feroce, ma estremamente potente, della perdizione e della
solitudine dell’uomo moderno, in cui il cinismo di una società dedita
all’egoismo non ha cancellato del tutto la debolezza intrinseca alla sua
natura. L’ostentazione di perversioni e di amenità della prima parte, da alcuni
fortemente criticata per presunta volgarità, non è gratuita ma funzionale alla
caduta morale ed all’aspirazione al perdono della seconda: Ferrara spinge forte
sul pedale dell’immoralità del suo protagonista, per ottenere poi la massima
resa ideologica dal percorso salvifico, che ha il suo climax emotivo
nell’incontro/scontro con il Cristo. E’ come se l’accumulo di situazioni crude,
che caratterizza il primo segmento dell’opera, fosse un potente maglio che si
rivolta contro se stesso, autofagocitandosi e generando la “miracolosa”
congiunzione tra due mondi apparentemente antitetici, perdizione e redenzione, in
un’osmosi di profondo spessore tragico e di magistrale contrasto ontologico. Il
cinico Ferrara apre una luce di speranza, persino in cotanto abisso di depravazione
e sembra dirci che c’è ancora uno spiraglio per l’uomo, a patto che sia
disposto a perdersi, elevandosi sulle proprie miserie. Il film ha avuto un
“falso” remake (Il cattivo tenente -
Ultima chiamata New Orleans), diretto da Werner Herzog nel 2009, che prende
però direzioni diverse, allontanandosi totalmente dall’originale. L’accesa
polemica tra i due registi, iniziata nel consueto modo colorito da Abel Ferrara
alla notizia del remake, è stata, quindi, sterile e si è conclusa con un nulla
di fatto. Quasi tutte le versioni della pellicola di Ferrara circolanti in
Italia sono censurate nelle scene più forti. L’unica edizione integrale senza
tagli è quella in dvd di 96 minuti distribuita dalla A-Film.
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