lunedì 19 gennaio 2015

Il cattivo tenente (Bad Lieutenant, 1992) di Abel Ferrara

Tenente di polizia corrotto, lurido, brutale, alcolizzato, drogato e pervertito, simbolicamente lasciato senza nome dall’autore, abbraccia una giusta causa, occupandosi del caso di una giovane suora violentata da due balordi. Sconvolto dalla reazione della donna, che perdona i suoi aggressori, cade nel baratro dei sensi di colpa ed imbocca, senza saperlo, un doloroso percorso di redenzione. Ma sarà un percorso tragico e definitivo. Straordinario noir, sporco e cattivo, del “bad guy” del cinema americano, Abel Ferrara, regista eclettico, selvaggio, passionale, trasgressivo, eccessivo, diseguale e geniale. In questo che è uno dei suoi film migliori e più significativi, il controverso autore del Bronx porta tutte le sue tematiche forti, le sue ossessioni personali, i suoi stilemi estetici, con l’enfasi disperata che da sempre lo contraddistingue ma anche con la rigorosa lucidità di un oscuro “profeta”, stoicamente fedele alla sua concezione del mondo. Tra Peckinpah e Scorsese, sesso e violenza, peccato e redenzione, colpa e innocenza, questo visionario nero d’autore, sospeso tra osceno e sublime, è una struggente parabola cattolica travestita da cupo incubo metropolitano, che cerca il sacro nel sordido, il riscatto nel degrado, attuando la catarsi nel senso più cristologico del termine. Stupefacente interpretazione di Harvey Keitel, che si è donato anima e corpo al progetto, regalandoci un cattivo di incredibile spregevolezza e di intensa sofferenza interiore, in quella che è, probabilmente, la performance più alta della sua lunga carriera. La scena cult, indubbiamente memorabile, per cui il film è diventato famoso, è quella in cui un Cristo martoriato e silenzioso appare in chiesa al tenente che, di contro, gli urla a muso duro tutto il suo dolore, la sua vergogna e la sua disperazione. Sovraesposto e tormentato, il tenente di Keitel è un’incarnazione feroce, ma estremamente potente, della perdizione e della solitudine dell’uomo moderno, in cui il cinismo di una società dedita all’egoismo non ha cancellato del tutto la debolezza intrinseca alla sua natura. L’ostentazione di perversioni e di amenità della prima parte, da alcuni fortemente criticata per presunta volgarità, non è gratuita ma funzionale alla caduta morale ed all’aspirazione al perdono della seconda: Ferrara spinge forte sul pedale dell’immoralità del suo protagonista, per ottenere poi la massima resa ideologica dal percorso salvifico, che ha il suo climax emotivo nell’incontro/scontro con il Cristo. E’ come se l’accumulo di situazioni crude, che caratterizza il primo segmento dell’opera, fosse un potente maglio che si rivolta contro se stesso, autofagocitandosi e generando la “miracolosa” congiunzione tra due mondi apparentemente antitetici, perdizione e redenzione, in un’osmosi di profondo spessore tragico e di magistrale contrasto ontologico. Il cinico Ferrara apre una luce di speranza, persino in cotanto abisso di depravazione e sembra dirci che c’è ancora uno spiraglio per l’uomo, a patto che sia disposto a perdersi, elevandosi sulle proprie miserie. Il film ha avuto un “falso” remake (Il cattivo tenente - Ultima chiamata New Orleans), diretto da Werner Herzog nel 2009, che prende però direzioni diverse, allontanandosi totalmente dall’originale. L’accesa polemica tra i due registi, iniziata nel consueto modo colorito da Abel Ferrara alla notizia del remake, è stata, quindi, sterile e si è conclusa con un nulla di fatto. Quasi tutte le versioni della pellicola di Ferrara circolanti in Italia sono censurate nelle scene più forti. L’unica edizione integrale senza tagli è quella in dvd di 96 minuti distribuita dalla A-Film.

Voto:
voto: 4,5/5

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