Nella Cina degli anni
’20 la giovane Songlian, bella e colta, in seguito alla morte del padre accetta
di diventare la quarta moglie di un ricco e maturo signorotto. Andrà quindi a
vivere con lui e le altre tre mogli in uno sfarzoso edificio, sottostando ad un
antico rituale di sottomissione: l’attesa passiva delle lanterne rosse appese
alla propria porta, segno tangibile che il marito-padrone avrebbe passato la
notte con lei. Dal romanzo “Mogli e concubine” di Su Tong, Zhang Yìmóu ha
tratto un superbo e doloroso ritratto storico della condizione femminile cinese
nel periodo dei “signori della guerra”. Formalmente elegantissimo, con un
raffinato gioco di contrasti nei colori e nei toni ed una perfezione geometrica
delle inquadrature che esplorano la grande casa come le stagioni del cuore
della protagonista, è un dramma esistenziale solenne ed austero che lavora per
difetto, ovvero sottraendo progressivamente il quid emozionale. Il suo colore, il rosso, non è quello della
passione ma del sangue e della vergogna. Una vergogna sociale, morale e storica
per l’aberrante sfruttamento delle donne, ridotte a serve sottomesse, schiave
adoranti e oggetti sessuali in nome del maschilismo più bieco. La geniale idea
delle lanterne, volute dal regista e assenti nel romanzo, dà forma tangibile al
simbolo pregnante della contraddizione: esse sono, infatti, il premio per la
notte che verrà e la maledizione per il suggello dell’ignominia. Ma sono anche
il motivo di scontro tra le quattro mogli, vittime ignave della stessa sorte
che, anziché unirsi, si dividono, combattendo per degli avanzi di attenzione e
favorendo, quindi, il giogo del dispotico padrone. Tra tradizione e
innovazione, rigore stilistico e indignazione morale, densità tematica e vigore
metaforico, l’autore ci consegna una testimonianza bellissima e terribile, il
cui splendore visivo è secondo solo all’inflessibilità della
denuncia, enfatizzata ulteriormente dalla provocante carica sensuale che permea
le scene rituali del film. Geniale, e segno ulteriore di assoluta personalità
autoriale, la scelta di non mostrare mai in primo piano il volto del padrone,
aumentandone così lo status dispotico e la carica oscura. Impeccabile e
commovente Gong Li, musa e per lungo tempo compagna di vita del regista,
nel ruolo della protagonista. Il film, proibito nella Repubblica Popolare
Cinese, è stato premiato con il Leone d’Argento al Festival del Cinema di
Venezia 1991.
Voto:
Bellissimo. La fotografia è un capolavoro assoluto!
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