Rimasto solo nell’afa estiva di
Manhattan, dopo aver mandato in vacanza moglie e figlio, l’editore Richard
Sherman conosce per caso la nuova avvenente vicina del piano sopra, ingenua e
bellissima. Combattuto tra la forte attrazione per la prorompente ragazza, il
suo solido senso di fedeltà alla famiglia e la gelosia per la moglie, che nel
luogo di villeggiatura ha ritrovato un ex spasimante, Sherman si abbandona a
pericolose fantasticherie. Alla fine prenderà la decisione politicamente
corretta. Intramontabile commedia rosa di Wilder, interamente costruita sul physique du rôle della bionda Marilyn
Monroe, sogno proibito dell’universo maschile dell’epoca, che qui era all’apice
del suo travolgente successo e del suo fascino erotico. Sotto la patina
frizzante e superficiale, il film nasconde una vena satirica corrosiva, a
tratti geniale, contro il perbenismo dell’americano medio ed i suoi desideri
inconfessabili, abilmente nascosti sotto l’egida del conformismo. Il grande
regista, allargando l’ampiezza della “denuncia”, non risparmia le sue bordate
neanche ai mass media, colpevoli di favorire, con la propria campagna
martellante, la contraddizione alla base del disagio psicologico di tanti
uomini “felicemente” sposati: ovvero, da un lato, imporre modelli di desiderio
sempre più spudorati ed ammiccanti, ma, dall’altro, condannare, all’insegna del
moralismo più bieco, ogni sorta di trasgressione pubblica. Come a dire che il
peccato diventa veramente tale solo quando viene scoperto. Questa briosa satira
di costume, generosa nel dispensare graffi all’ipocrisia di facciata, paga un
certo dazio, dal punto di vista dell’inventiva visuale, alla sua origine
teatrale; infatti era nata, inizialmente, come commedia in tre atti scritta da George
Axelrod. Ma i suoi pregi sono tanti ed evidenti: è divertente (le gag
sull’inibizione sessuale e sull’ossessione dell’adulterio sono irresistibili),
è mordace, è esuberante come la sua protagonista, che qui fa, praticamente, se
stessa, risultando totalmente credibile e a suo agio. Il caratterista Tom
Ewell, un “brutto” di rara simpatia, mantiene bene il ritmo di Marilyn ed i
giusti tempi comici, restituendoci quell’immagine di smarrita tenerezza e di
confuso turbamento che fa breccia immediata nel pubblico. Il film viene
principalmente ricordato per la celebre scena in Marylin passa sulla grata
della metropolitana e la sua ampia gonna bianca vola in alto, per lo
spostamento d’aria causato dal passaggio di un treno, un’immagine sensuale così
potente da divenire una delle icone più importanti e conosciute della storia
del cinema. Il titolo originale si può tradurre come il prurito del settimo
anno, riferito al fatto che Sherman è sposato da sette anni, ovvero il limite
comunemente additato come inizio di crisi sentimentali e tentazioni sessuali.
Voto:
Nessun commento:
Posta un commento