La giovane Ippolita Oderisi, erede di una famiglia aristocratica, soffre di una paralisi agli arti inferiori, probabilmente di natura traumatica, dopo aver assistito da piccola alla tragica morte della madre. Uno psichiatra cerca di curarla attraverso ipnosi ma scopre un orribile segreto nascosto nel subconscio della ragazza, che crede di essere posseduta dal demonio come una sua vecchia antenata, condannata secoli prima come strega e giustiziata sul rogo, dove prima di morire rinnegò Satana e abbracciò la fede. Ma adesso il diavolo è tornato per vendicarsi e reclamare l'anima di Ippolita, che inizia a manifestare tutti i segni inequivocabili della possessione. Questo horror italiano di Alberto De Martino, che alla sua uscita riscosse un buon successo di pubblico, è uno dei tanti pessimi cloni de L'esorcista (1973), di cui scopiazza alla rinfusa la materia diabolica soffermandosi unicamente sugli aspetti orripilanti, sulle sequenze disturbanti, sui contenuti morbosi e sugli effetti macabri, utilizzando uno stile grezzo e spingendo forte sul pedale della blasfemia scioccante, per puri fini di exploitation. Così come il popolino selvaggio della Roma antica reclamava sangue e più sangue nel Colosseo (e la citazione del monumento simbolo della "città eterna" è tutt'altro che casuale), parimenti il pubblico amante di splatter e raccapriccio pretende film sempre più violenti e impressionanti, infischiandosene di tutto il resto. Invero l'idea di fondo di collegare il destino di Ippolita a quello di una sua antenata vittima di possessione non era nemmeno malvagia, ma ci voleva un altro tipo di regista per svilupparla in maniera più sottile, densa e affascinante, senza gettarsi a capofitto in un accumulo di truculenze di bassa lega. Da salvare c'è unicamente la sequenza (molto forte e a tratti di pessimo gusto) del sogno di Ippolita in cui la nostra viene (letteralmente) posseduta dal demonio, rivivendo l'iniziazione al male della sua antenata, in un macabro rituale satanico. La scena, che ha reso celebre il film, è indubbiamente riuscita ed ha, ancora oggi, la sua suggestione oscura per come è stata realizzata. Viceversa l'episodio del vomito verde, copiato pari pari dal film di Friedkin, è una clamorosa caduta nel trash, talmente malsana da sfiorare il ridicolo involontario. Il cast è di tutto rispetto, con Carla Gravina (la cui carriera rimase a lungo "segnata" da questo ruolo "osceno"), Mel Ferrer, Umberto Orsini e Alida Valli. La colonna sonora è condivisa da Ennio Morricone e Bruno Nicolai. La pellicola ha comunque la sua schiera di inossidabili fans e negli anni è diventata un piccolo scult stracult del nostro cinema di genere. Alla sua uscita suscitò un vero pandemonio ed ebbe molti problemi con la censura a causa di 2-3 scene che provocarono le ire della Chiesa, che bandì il film come sacrilego e offensivo della morale cattolica. Invero la sequenza in assoluto più "provocatoria" è stata inserita, furbescamente, come immagine subliminale, appena percepibile e chiaramente visibile solo utilizzando il fermo immagine. Inutile dire che tutto questo fu architettato ad arte, rivelando così la natura "pornografica" dell'operazione, e segnò la fortuna al botteghino della pellicola.
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