La famiglia Ristuccia: lui, Carlo, è un assicuratore deluso dalla vita che coltiva ancora il sogno giovanile di diventare uno scrittore. Lei, Giulia, è un'insegnante isterica con il vecchio pallino della recitazione. I due condividono da anni il tetto e il letto, ma sono due estranei, ciascuno perso nella quiete apparente della propria disperazione interiore, mascherata dall'inerzia della routine quotidiana. E poi i due figli adolescenti: Valentina, bella, procace, esuberante, disposta a tutto per diventare una "velina" della televisione e Paolo, ragazzotto insicuro e introverso in piena tempesta ormonale, bersaglio prediletto della spregiudicata sorella. Carlo ritrova Alessia, vecchia fiamma di gioventù mai dimenticata, e decide di concedersi una "botta di vita". Giulia inizia a fare teatro e s'invaghisce del regista, mentre Carlo si allontana sempre più da lei. La coppia scoppia, ma un evento imprevisto costringe tutti a ripensare alle proprie azioni. Forse. Questo dramma sentimentale di Gabriele Muccino, scritto dal regista insieme a Heidrun Schleef, è una sorta di proseguimento ideale de L'ultimo bacio (2001), il cui scenario di coppia viene idealmente traslato in avanti nel tempo, aggiungendo una ventina di anni ai protagonisti. Muccino passa al tritacarne la società italiana contemporanea, quella del berlusconismo, della tv spazzatura, del conformismo ipocrita, della mediocrità ideologica e della intrinseca volgarità morale. La riflessione critica, notevolmente amara, imposta dall'autore attraverso questo film, non è circoscritta solo alle coppie borghesi come i Ristuccia, ma all'intera società del "belpaese". E' infatti evidente che tutti i personaggi sono delle figure archetipali facilmente identificabili e riconoscibili nel nostro quotidiano, ciascuno portatore di un determinato vizio o malcostume, oppure simbolo di una specifica debolezza. Peccato però che, alla maniera del regista, tutto sia troppo enfatizzato, ricalcato, urlato, all'insegna di un nevrotico effettismo che esaspera i toni, smarrisce la misura, sguazza impunemente nell'oggetto della sua denunicia e perde la lucidità dell'analisi sarcastica, trasformando tutto in un patetico circo grottesco. Da salvare il ritmo agile imposto dal montaggio dinamico (autentico marchio di fabbrica e punto di forza dell'autore) e la recitazione degli attori, quasi tutti perfetti nei rispettivi ruoli: Laura Morante, sempre a suo agio con i personaggi isterici, Fabrizio Bentivoglio, dimesso e sornione, e l'esordiente Nicoletta Romanoff, una vera bomba di sensualità, che quando è in scena buca lo schermo e si mangia il film. Nel resto del cast: Monica Bellucci è bella come il sole ma quando parla ti cadono le braccia e Silvio Muccino (fratello minore del regista) è impacciato come sempre, e forse andrebbe persino doppiato (come si usava fare una volta con gli attori italiani dall'eloquio non propriamente "cristallino"). Il titolo del film chiarisce l'idea di Muccino senior in merito alla principale causa della crisi che attanaglia i personaggi: non l'amore, non il successo, non il sesso, ma l'impellenza di essere "visti", riconosciuti e non dimenticati.
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