venerdì 27 agosto 2021

Le confessioni (2016) di Roberto Andò

In un lussuoso albergo tedesco si tiene il G8 tra i ministri dell'economia dei paesi più potenti, per varare una manovra "dolorosa" ma "necessaria" che potrebbe cambiare profondamente la situazione economica occidentale. Presiede la riunione il direttore del Fondo Monetario Internazionale, Daniel Roché, un uomo stimato e ammirato per la sua competenza e la sua solida reputazione. Roché ha stranamente voluto includere nel summit tre ospiti inattesi: una rock star, una scrittrice di favole per bambini e uno strano monaco italiano, Roberto Salus, uomo morigerato e sfuggente, dai modi indecifrabili e dall'eloquio spiazzante. La notte prima dell'inizio dei lavori Roché chiama Salus nella sua stanza per confessarsi e la mattina dopo viene ritrovato morto. Si scatena il caos, i politici non sanno cosa fare e la figura di Salus diventa centrale rispetto agli eventi, anche perchè sono in molti a temere per i segreti che Roché potrebbe avergli rivelato. Mentre l'atteggiamento del monaco diviene sempre più enigmatico, altri politici lo interpellano in privato, per cercare di carpirgli informazioni, ma poi anche loro cedono all'impulso di confessarsi. Questo affascinante dramma metafisico di Roberto Andò (che lo ha anche scritto insieme ad Angelo Pasquini) è un falso giallo deduttivo che nasconde un'anima politica, un metodo filosofico, un'atmosfera arcana ed un cuore anarchico di critica al potere (in questo caso economico) e di tutte le sue forme di appiattimento dello spirito ed omologazione del pensiero. Il regista prosegue ed amplia il discorso già iniziato nel precedente Viva la libertà (2013), utilizzando sempre l'espediente che contrappone un pensatore libero e controcorrente (il monaco) ad un sistema di conformismo ubbidiente a "ragioni di stato", ma barattandone l'ironia pungente e stravagante con un impianto metaforico più labirintico e serioso, indubbiamente intrigante nei suoi passaggi teorici più efficaci, ma anche macchinoso in alcune svolte o con picchi di calligrafismo celebrativo in odore di autocompiacimento. In altre parole c'è troppa astrazione controllata, un pizzico di audace "follia" in più avrebbe giovato. Il talento del regista nel raccontare una storia importante e fortemente attuale con uno stile ricercato, rarefatto, seducente e diverso dalle logiche didascaliche del cinema popolare è fuori discussione, ma l'effetto finale, per quanto notevole, è un po' meno solido ed efficace rispetto alla sua pellicola del 2013. E' abbastanza facile cogliere l'insieme di influenze, ispirazioni e "omaggi" presenti in questo film, alcune delle quali sono state palesemente dichiarate dallo stesso autore: il cinema politico surreale di Petri (Todo Modo (1976) in particolare), l'oscura introspezione psicologica di Polanski e l'asettica impaginazione ambientale di Sorrentino. Giusto per citare le più evidenti. Nel cast internazionale che annovera nomi come Daniel Auteuil, Connie Nielsen, Pierfrancesco Favino, Johan Heldenbergh e Marie-Josée Croze, svetta il monaco enigmatico di Toni Servillo, che anche quando continua a fare quel tipo di personaggio che tutti, ormai inconsciamente, gli attribuiamo, lo fa con classe sopraffina e grande statura scenica. Molto evocative e attinenti le musiche "psicanalitiche" di Nicola Piovani.
 
Voto:
voto: 3,5/5

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