Londra, 1984. Il giornalista Arthur Stuart riceve l'incarico di scrivere un articolo su Brian Slade, un ex divo del "glam rock" di cui lui stesso era un fan appassionato, misteriosamente sparito dalle scene da un decennio mentre era all'apice del successo, dopo il maldestro tentativo di inscenare la sua finta morte sul palco durante un concerto. L'inchiesta di Stuart "riavvolge il tempo" alla Londra di fine anni '60, mostrandoci l'ambiente della "swinging London", l'avvento di un rock aggressivo e narcisistico, l'ostentazione di costumi sgargianti e di comportamenti sessuali sfrenati e l'esibizionismo esasperato sotteso alla moda "glamour". In questo scenario trasgressivo e "godereccio" vengono ricostruiti i fatti salienti della vita tormentata di Slade: i suoi inizi nel mondo della musica, il suo sofferto matrimonio con Mandy e il suo rapporto omosessuale con il rocker americano Curt Wild. Questo colorato e caleidoscopico film musicale del talentuoso Todd Haynes, sospeso tra commedia e dramma, non è una biografia, per quanto la figura del protagonista Brian Slade sia abilmente ricalcata su quelle di diverse star del rock degli anni '70, in particolare su David Bowie del periodo di Ziggy Stardust. E', piuttosto, una fascinosa ricostruzione d'epoca al confine tra realismo e invenzione fantastica. Un'epoca di eccessi, di ribellioni, di percorsi autodistruttivi, ma anche di grandi fermenti culturali e di geniali intuizioni artistiche, di cui l'autore cerca di catturare lo spirito, filtrandolo attraverso la sua memoria di appassionato e la sua poetica di creativo narratore. Dal punto di vista visivo è un'opera notevole, abbacinante, fluorescente, capace di ricreare l'anima del "glam rock" attraverso gli straordinari costumi (nomination agli Oscar per Sandy Powell), le pettinature, il linguaggio, le pose, i comportamenti e, ovviamente, la musica. Anche le interpretazioni del grande cast (Jonathan Rhys Meyers, Ewan McGregor, Christian Bale e Toni Collette) sono di ottimo livello. Quello che però manca è quel lampo abbagliante, quel graffio inatteso, quello scarto audace capace di rendere palpitante questo luminoso mondo al neon al di là della patinata superficie estetica, delle ostentazioni effeminate e delle inevitabili cadute nel kitsch. Haynes è un autore vero e non manca di personalità, in tutti i suoi lavori ha sempre cercato di andare oltre la narrazione calligrafica e di proporre la sua visione personale. Lo fa anche stavolta, ma si prende troppo sul serio e il risultato non è esaltante come in altre sue pellicole. Per questo film, che ha comunque la sua schiera di ferventi ammiratori, il regista è stato premiato al Festival di Cannes per il miglior contributo artistico.
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