venerdì 6 agosto 2021

Tre passi nel delirio (Histoires extraordinaires, 1968) di Roger Vadim, Louis Malle, Federico Fellini

Tre episodi liberamente tratti da altrettanti racconti di Edgar Allan Poe e diretti da tre registi diversi. "Metzengerstein" di Roger Vadim con Jane Fonda e Peter Fonda: una perversa contessa è innamorata del cugino e tenta di sedurlo, lui la respinge, lei perde la testa e fa incendiare la sua fattoria. L'uomo muore nel rogo e da quel momento oscuri rimorsi tormenteranno la donna. "William Wilson" di Louis Malle con Alain Delon e Brigitte Bardot. Un giovane ufficiale austriaco è ossessionato da un suo "doppio" che gli si oppone e cerca di fermarlo quando sta per commettere del male. Dopo che ha offeso gravemente una donna, il "doppio" ricompare e l'uomo decide di sfidarlo in un duello all'ultimo sangue. "Toby Dammit" di Federico Fellini con Terence Stamp. Un famoso attore inglese, alcolizzato e vizioso, arriva a Roma per girare un western. Tormentato da visioni funeree abbandona una festa mondana perchè nauseato dall'ambiente e si mette alla guida di una Ferrari completamente ubriaco. Il viaggio notturno in una Roma da incubo lo condurrà verso il suo destino. Questo thriller horror collettivo a episodi è un film strano, per molti versi affascinante, ma ha tutte le caratteristiche di un lavoro su commissione, e, quindi, poco ispirato. Ciò è palese nei primi due segmenti che sono mediocri, diretti e interpretati con il "pilota automatico". In particolare Louis Malle dichiarò esplicitamente di aver accettato di girare il film solo per procurarsi i fondi necessari a realizzare Soffio al cuore (Le souffle au coeur, 1971) e sul set ebbe notevoli problemi con la protagonista Brigitte Bardot (imposta dalla produzione), da lui ritenuta non adatta al ruolo (l'autore francese avrebbe voluto Florinda Bolkan). Ma l'episodio di Fellini è straordinario e vale interamente il "prezzo del biglietto". L'incontro fra il sarcasmo visionario di Fellini e il decadentismo lugubre di Poe è tanto straniante quanto fertile nella sua inattesa sintomaticità: il geniale autore riminese si appropria a modo suo (allontanandosene enormemente) del racconto ispiratore ("Mai scommettere la testa col diavolo" del 1841) e lo trasforma in un incubo onirico satirico ambientato in una Roma allucinata, fumosa, più sognata che rappresentata, e pregno di alcune delle sue ossessioni personali trasfigurate attraverso immagini potenti, che fanno virare il suo innato senso del fantastico verso un immaginario cupo e distorto, dove la sua abituale galleria di "mostri" provenienti dalle sue memorie e dal suo inconscio assume il sembiante di macabre suggestioni di morte. Fellini cita chiaramente Mario Bava (la bambina fantasma di Operazione paura, 1966) e si avvale del solito spettacolare artigianato tecnico (menzione speciale per la fotografia di Giuseppe Rotunno) per dare forma alle sue visioni e offrirci la sua prospettiva irridente attraverso lo sguardo di diversi personaggi: uno sceneggiatore cattolico pedante, un prete moralista, un giornalista critico radicale (memorabile l'apparizione della "maschera" parodistica di Totò che compare per un attimo come un cieco sotto braccio di una bionda "burrosa" tipica della variopinta galleria di donne felliniane). E' un Fellini diverso, più sconsolato e incline al tragico, privo di pietas, di compianto e di speranze consolanti (la grazia illuminata della "sua" Giulietta appare lontanissima come non mai), ma è sempre un Fellini autobiografico, che racconta sè stesso attraverso una sublimazione onirico-fantastica (il regista era appena uscito, molto provato, da un difficile periodo di malattia che lo aveva particolarmente angustiato). Non è scorretto affermare che la parentesi orrorifica di questo episodio porrà le basi inconsce formative per le atmosfere tetre e mortifere che poi ritroveremo in Fellini - Satyricon (1969) e ne Il Casanova di Federico Fellini (1976). Fellini scrisse "Toby Dammit" insieme a Bernardino Zapponi (il suo nuovo sceneggiatore, che iniziò una lunga e proficua collaborazione con il Maestro proprio a partire da questo film e che proseguirà fino a La città delle donne, 1980) e avrebbe voluto fortemente Peter O'Toole come interprete protagonista. Ma il grande attore inglese, che aveva manifestato più volte in passato l'interesse a lavorare con lui, rifiutò la parte dopo aver letto il copione. Quindi Fellini chiese espressamente al suo fidato direttore di casting a Londra un attore britannico che fosse "decadente e romantico". Quando incontrò Terence Stamp, il primo nome che gli venne sottoposto, ne fu subito entusiasta e tra i due nacque una immediata simpatia di cui l'attore di Stepney, inizialmente molto intimorito al cospetto del grande regista, ha spesso raccontato in interviste successive.

Voto:
voto: 3/5

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