Mort Rifkin è un ex insegnante di cinema con aspirazioni da scrittore, un newyorkese anziano sposato con l'agente di stampa Sue, ben più giovane di lui e invaghita di Philippe, un vanitoso regista francese che si atteggia a grande maestro. I tre si ritrovano insieme al festival del cinema di San Sebastián, dove Mort si è recato controvoglia, unicamente per gelosia nei confronti della moglie. Ma di fronte all'evidente intesa tra lei e Philippe, l'uomo entra in crisi, si sente escluso ed inutile, capisce che il suo matrimonio è ormai al capolinea e la sua ipocondria inizia a causargli malesseri fisici. L'incontro con una bella cardiologa spagnola, appassionata di cinema d'essai, riuscirà a risollevargli il morale e a fargli vedere le cose da una diversa prospettiva. Forse. Il 50-esimo lungometraggio di Woody Allen è una commedia sentimentale "in trasferta" (ovvero ambientata fuori dalla sua amata New York), scritta dal regista e magnificamente fotografata dal nostro grande Vittorio Storaro (alla quarta collaborazione consecutiva con Allen). E' un film leggero e gaio, interamente girato nella ridente città basca di San Sebastián, garbatamente divertente ma non particolarmente originale. Il regista utilizza il protagonista Mort Rifkin come suo alter-ego per attuare una sorta di psicoanalisi esistenziale su sè stesso, ormai alla soglia degli 85 anni, costellando la pellicola, sotto il velo di una malinconica ironia, di tutte le sue tipiche ossessioni (ormai divenute autentici marchi di fabbrica): le nevrosi, la paura della morte e delle malattie, i tormentati rapporti di coppia, la fugacità dell'amore, l'ebraismo, la vanità intellettuale, l'inaffidabilità della natura umana, gli sberleffi verso Hollywood, il passatismo e, ovviamente, la cultura cinefila e l'immenso amore verso il cinema ed i suoi autori prediletti. In questa pellicola Allen mette in pratica un autentico "panegirico" celebrativo verso il grande cinema d'Autore europeo a discapito di quello statunitense (Bergman, Fellini, Godard, Buñuel, Lelouch, senza dimenticare Orson Welles, americano "esiliato" nel vecchio continente). Il suo è un atto d'amore sincero e appassionato, che suscita simpatia e tenerezza per come viene realizzato e rappresenta anche una stimolante "sfida" (invero per nulla complicata) nei confronti del pubblico cinefilo, che si divertirà a riconoscere i 9 celebri classici di cui viene ironicamente "ricostruita" una scena famosa (in rigoroso bianco e nero) attraverso i sogni di Rifkin. Per la cronaca i film sono (nell'ordine) questi: Quarto potere (1941), 8½ (1963), Jules e Jim (1962), Un uomo, una donna (1966), Fino all'ultimo respiro (1960), Persona (1966), Il posto delle fragole (1957), L'angelo sterminatore (1962), Il settimo sigillo (1957). E' sicuramente questo l'aspetto più gradevole e interessante di questa ultima commedia alleniana, che, se non brilla per originalità ed inventiva, si fa sicuramente apprezzare per questo creativo citazionismo in omaggio ai suoi miti personali. Nel cast segnaliamo Elena Anaya, Gina Gershon, Wallace Shawn, Louis Garrel e Christoph Waltz in un irresistibile cameo che ci guardiamo bene dal rivelare.
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