Il conformista (Il conformista, 1970) di Bernardo Bertolucci
Alla
vigilia del secondo conflitto mondiale, Marcello
Clerici, spia al soldo della polizia politica del regime fascista, si reca a
Parigi, in luna di miele, con la bella moglie Giulia. Ma il viaggio è una
copertura che nasconde una missione segreta: l’eliminazione del professor Luca
Quadri, suo vecchio insegnante di filosofia, che è un dissidente antifascista
riparato in Francia per sfuggire alle persecuzioni politiche. Ma il pavido
Marcello, uomo lubrico e senza qualità, s’invaghisce di Anna, la giovane e
procace moglie del professore, e, avvinto dalla libidine, inizia
ad esitare, mettendo in discussione la sua “fede” nel partito, verso il quale
era stato sospinto, anni prima, da un traumatico senso di colpa per un
presunto delitto a sfondo sessuale e dal suo atavico opportunismo. Tratto dal
romanzo omonimo di Alberto Moravia, è il capolavoro assoluto di Bertolucci, il suo miglior
film, purtroppo quasi sconosciuto ai non cinefili. Sontuoso dramma storico di
incredibile eleganza e raffinata impaginazione, a cui la splendida fotografia del
grande Vittorio Storaro dona uno splendore visivo, un’esuberanza cromatica ed
un’espressività stilistica di magistrale fattura e di preziosa suggestione.
L’utilizzo geniale delle luci e le inquadrature oblique ci immergono
completamente in un limbo di ipnotico straniamento, che rappresenta la
personalità inquieta e multipla del protagonista, un vigliacco insicuro, un
camaleonte politico, sempre pronto a schierarsi con i più forti per nascondere
la propria innata codardia. E Bertolucci rende questo pusillanime, che cade
sempre in piedi, il simbolo dell’italiano medio di quegli anni oscuri ed amari:
un ipocrita voltagabbana in balia del vento mutevole della storia, un giorno
sostenitore osannante del regime e quello dopo antifascista radicale.
Attraverso le subdole “gesta” di Marcello Clerici, il regista
riesce a fornire una lucida e sconsolante istantanea del periodo più oscuro e
vergognoso della storia italiana, in cui l’ambiguo divenne il paravento
necessario alla sopravvivenza ad ogni costo. Geniale l’idea di rendere il
tormento esistenziale e politico del protagonista, e quindi dell’Italia intera
di quegli anni, attraverso il mito della caverna di Platone, attingendo ad una
teoria di astrazione superiore e, quindi, di portata universale. Con un
montaggio concentrico fatto di continui slittamenti temporali, il film si
arricchisce del doppio livello narrativo che mescola abilmente l’erotismo alla
politica in una commistione conturbante ed intellettualmente stimolante. Maturo
ed onesto, coraggioso e provocatorio, questo splendido apologo dell’ambiguo
contiene in forma già florida tutte le tematiche care al regista parmense: il
sesso voluttuoso, sia in forma etero che omo, l’impegno politico, la critica
storica, la lettura problematica delle relazioni umane, e, non ultima,
l’adorata Parigi, simbolo vivente di un immaginario possibile di libertà e
trasgressione. Da segnalare anche il cast straordinario con Jean-Louis
Trintignant, Stefania Sandrelli, Dominique Sanda e Gastone Moschin. E infine
una gustosa curiosità: l'indirizzo e il numero di telefono del professor Quadri,
la vittima predestinata, corrispondono a quelli del regista Jean-Luc Godard,
maestro spirituale di Bertolucci insieme a Pasolini, che quindi intende, con
questo film, “uccidere” metaforicamente il suo tributo artistico con il geniale
autore parigino, come segno di una consapevole raggiunta maturità.
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