lunedì 4 ottobre 2021

Confessioni di una mente pericolosa (Confessions of a Dangerous Mind, 2002) di George Clooney

Chuck Barris è un personaggio molto conosciuto in America: ideatore di fortunati show televisivi, poi esportati in tutto il mondo, e istrionico conduttore, la cui popolarità raggiunse l'apice durante gli anni '60 e '70. Nel 1984 il vulcanico showman scrisse la sua controversa autobiografia ("Confessioni di una mente pericolosa"), a cui questo film è ispirato, in cui dichiarò di aver vissuto, per un certo periodo, due vite parallele: quella pubblica in televisione, tutta lustrini e allegria, e quella segreta, come agente della CIA in incognito in giro per il mondo, in cui l'agenzia gli affidava delicati lavori "sporchi", in certi casi addirittura "sporchissimi". Alla sua uscita il libro suscitò scandalo e polemiche e la CIA rilasciò prontamente un comunicato ufficiale di autodifesa, affermando che si trattava di assolute fandonie partorite dalla mente bizzarra del teatrale presentatore. Invero lo stesso Barris ammise, un anno dopo, di essersi inventato tutto di sana pianta, di non aver mai lavorato per la CIA ma di esserne stato rifiutato, e che il materiale del libro era una sorta di fantasiosa immaginazione della vita avventurosa che avrebbe voluto vivere come membro nascosto dell'Agenzia di spionaggio. Al di là di queste doverose precisazioni, bisogna dire che il film Confessioni di una mente pericolosa, rutilante esordio alla regia dell'attore George Clooney, è una spy-story trasgressiva, vivace, politicamente scorretta e di caustica perfidia, un attacco sarcastico nei confronti degli sporchi maneggi del potere politico e dell'ipocrisia del mondo dello showbiz (il riferimento esplicito è rivolto alla televisione, ma il discorso può essere facilmente esteso per induzione). La ricostruzione d'epoca è sontuosa e la vicenda (ufficialmente falsa come da smentita dello stesso Barris) risulta sovente realistica e verosimile per la precisione minuziosa del quadro d'insieme, per il ritratto sfumato dei personaggi e per l'abilità di saper catturare brillantemente il clima della Guerra Fredda, con tutto il relativo sottobosco di propaganda, isterie, ossessioni e manie di controllo. La sceneggiatura di ferro di Charlie Kaufman (il cui tocco surreale è ampiamente visibile), la regia agile di Clooney e l'estrema bravura degli attori (in cui svetta l'eclettico mattatore Sam Rockwell, affiancato da un cast di stelle come Drew Barrymore, Julia Roberts, Rutger Hauer, Maggie Gyllenhaal e lo stesso Clooney), rendono questo film un mordace affresco al vetriolo della società americana degli anni '60. Intelligente e azzeccata la scelta di mettere in secondo piano la presunta verità della vicenda, focalizzandosi invece sul doppio binario narrativo: ciò che avviene al di fuori e ciò che avviene dentro la mente dello stravagante protagonista, un personaggio sui generis con possibili problemi di dissociazione della personalità. In questo modo lo spettatore viene lasciato in preda ad un fertile dubbio su ciò che ha visto, rendendo il tutto più ambiguo e stimolante. George Clooney, salito alla ribalta come bello della televisione e poi del grande schermo, ha saputo ritagliarsi nel tempo un proprio spazio di autorevolezza, credibilità e talento artistico, prima come attore impegnato, poi come personaggio pubblico liberale, sensibile e attento alle cause civili importanti e adesso anche come regista vigoroso e polemico. A voler proprio trovare un difetto bisogna dire che questa pellicola, come spesso accade nelle opere prime, ha troppa smania di stupire e di dimostrare le tante idee del proprio autore, eccedendo talvolta in funambolismi artificiosi. Da segnalare il simpatico cameo di Brad Pitt e Matt Damon, grandi amici del regista, che appaiono brevemente come concorrenti di un quiz televisivo.
 
Voto:
voto: 3,5/5

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