Dal controverso romanzo del greco Nikos Kazantzakis, Scorsese ha tratto il
film scandalo annunciato: maledetto a priori, osteggiato dai cattolici,
proibito dalla chiesa, bandito ancor’oggi in diversi paesi, accusato da più
parti di blasfemia e oscenità oltraggiosa per la comunità cristiana. Il grande
regista italoamericano ha sempre sentito molto l’argomento religioso, che ha
pervaso tutti i suoi primi film attraverso un sofferto percorso interiore dei
suoi personaggi, tradotto in termini di tormento, espiazione e redenzione. In
tal senso questo film “alternativo” sul Cristo, a lungo meditato tra rinvii e
ripensamenti, era quasi inevitabile per l’autore newyorkese. Il risultato è
un’opera ambiziosa, prolissa, magniloquente, viscerale, sanguigna nei toni e nei
colori, non sempre equilibrata e con punte di spettacolarizzazione gratuita che
ubbidiscono all’enfasi che esala dal progetto. Tra momenti visionari notevoli e
maldestre cadute di stile, l’autore ci presenta una rilettura umana del Cristo,
tratteggiato come insicuro, imperfetto e corroso dai dubbi di fronte al peso
schiacciante della sua alta missione ed alle tentazioni della carne,
personificate nel corpo “generoso” di una voluttuosa Maddalena. La rilettura
predetta si ispira, chiaramente, al capolavoro pasoliniano Il
Vangelo secondo Matteo, per le atmosfere primitive e per la concezione
di un Cristo umano prima che divino, benché non ne raggiunga mai né la
densità simbolica né la statura poetica. Con evidenti problemi di miscasting
(Willem Dafoe e Harvey Keitel sono bravissimi ma hanno, evidentemente, poco a
che vedere con i testi sacri) ed un furore estetico che non si sublima mai in
una reale dimensione artistica, il film trova i suoi momenti migliori nel
controverso momento onirico, ovvero la tentazione finale, e suprema, in cui
Gesù, morente sulla croce, immagina un destino alternativo ed una vita
“normale” accanto alla Maddalena e poi, alla morte di questa, a Marta, sorella
di Lazzaro, da cui avrà una famiglia. Il forte accostamento tra Cristo e la
sessualità, che ha fatto tremare i polsi del cattolicesimo romano per la
promiscuità tra il sacro intoccabile ed il tabù primigenio, si risolve in un’iperbole
surreale di alto spessore visionario che fornirà poi un risalto trionfale
ancora maggiore all’inevitabile, e liberatorio, “tutto è compiuto”, che abbiamo
imparato ad accettare dogmaticamente per tradizione. Sono quindi ridicole
le accuse mosse al film che ha coraggio, personalità e, alla fine dei conti,
conferma la tradizione cattolica dopo aver giocato a lungo sulla lama di rasoio
del finale alternativo “scandaloso”. E, come sempre accade in questi casi, il
grande frastuono mediatico ha fatto la fortuna della pellicola che ne ha tratto
una notevole pubblicità gratuita e, quindi, un inevitabile ritorno economico a
causa dei tanti che hanno scelto di vederla anche solo per curiosità. Non vale
i capolavori del regista ma è un tentativo, vigoroso ed appassionato, di
rileggere la “più grande storia mai raccontata” sotto un’ottica nuova,
dubitativa e possibilista, piuttosto che ottusamente dogmatica. Il risultato
non vale in pieno il coraggio dimostrato, ma la personalità artistica è roba da
grandi autori. Autori come Martin Scorsese.
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