domenica 4 gennaio 2015

Chelsea Girls (Chelsea Girls, 1966) di Andy Warhol e Paul Morrissey

Sullo schermo diviso in due parti scorrono, in parallelo, 12 episodi diversi, suddivisi in 6 coppie simultanee, tutti della durata di circa 30 minuti. Questi episodi mostrano scene di vita quotidiana, tra visioni, erotismo, droga, voyeurismo, transessuali, kitsch ed eccessi vari, delle donne che “orbitavano” nella celebre factory di Andy Warhol, controverso e geniale maestro della pop art e leader dei movimenti artistici alternativi che a lui si ispiravano. Riferendoci alla versione restaurata dal MoMA (Museum of Modern Art) di New York, i 12 segmenti sono: Nico in cucina, “Papa” Ondine e Ingrid, Brigid tiene banco, ragazzi a letto, Hanoi Hanna, Hanoi Hanna e clienti, Mario canta due canzoni, Marie Menken, Eric dice tutto, luci colorate sul cast, “Papa” Ondine, Nico piange, per una durata totale di 210 minuti (3 ore e mezza). Ripreso dall’operatore Paul Morrissey, che viene ufficialmente accreditato come co-regista, vede la presenza, nel cast, della cantante Nico, dell’attrice ed artista Brigid Berlin e dell’attore Robert Olivo detto Ondine. Le musiche sono dei "Velvet Underground" ed il titolo deriva dal luogo in cui è stato girato, il Chelsea Hotel di New York. Come già detto i 12 episodi vengono presentati in coppia, due alla volta insieme sullo schermo in split screen, in modo tale che solo uno dei due sia con sonoro mentre l’altro muto, con alternanza tra bianco e nero e colore, e tutti furono girati in un unico piano sequenza per aumentarne il realismo. E’ il più famoso tra i film di Warhol, artista tout court perennemente sospeso tra genio e sregolatezza, provocazione e dannazione, ed uno dei film “alternativi” più celebri e celebrati. Estremizza la “teoria del Caso” dell’autore con un’estetica disordinata, randomica, verista perché filma la “vita vera” attraverso immagini brutali, sporche ma anche surreali, psichedeliche, in accordo ad un’altra famosa idea warholiana secondo cui è sufficiente essere se stessi per generare arte. Opera possente ed astratta, con costanti oscillazioni tra affascinante e spregevole, dà l’idea di un caotico work in progress con fini dimostrativi ed evidenti sospetti di compiacimento autoreferenziale, tra l’altro tipico dell’artista di Pittsburgh. Adorato o odiato, celebrato e vilipeso, a seconda dei gusti, è, indubbiamente, un’originale sintesi dell’arte di Warhol, che, tra beautiful people e bestiario dell’assurdo, porta in scena, con stile radicale e messa in scena innovativa, la grande ed insulsa commedia umana. E se la sua componente furbescamente trasgressiva è innegabile, cosa che scatenò gli strali dei moralisti che accusarono il film di incoraggiare comportamenti “deviati” e “degenerati”, è altresì incontestabile la sua alta tenuta formale e concettuale come opera underground di assoluta avanguardia, messa in scena con uno stile che induce lo straniamento, produce fervide suggestioni ed intende fornire un eccentrico scossone all’appiattimento ideologico dei critici tradizionalisti. Fa parte di quelle pellicole estreme di tipo “prendere o lasciare” ma, comunque, da vedere, anche solo per il suo valore di documento storico/artistico o per cimentarsi con un cinema diverso. Da evitare, invece, per il pubblico mainstream.

Voto:
voto: 4,5/5

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