Nel braccio della morte
del carcere di Cold Mountain, in Louisiana, durante gli anni della Grande
Depressione, il capo delle guardie Paul Edgecombe (Tom Hanks) deve gestire un
detenuto particolare: un gigantesco uomo di colore ritardato, di nome John
Coffey, condannato a morte per lo stupro e l’omicidio di due bambine bianche.
Ma questi appare innocuo, gentile e dotato di straordinari poteri
soprannaturali che gli consentono di guarire i malati con il solo tocco delle
mani o di “entrare” nella mente altrui
attraverso il contatto fisico. Il periodo di permanenza di Coffey a Cold
Mountain cambierà tutti i presenti per sempre, in un modo o nell’altro. Secondo
adattamento del regista Darabont di un racconto di Stephen King, ancora una
volta a tema carcerario dopo il precedente e riuscito Le ali della libertà, con questa crudele favola nera che ribalta le
concezioni archetipe (l’uomo nero non è il cattivo) ed emoziona per la garbata
umanità che traspare dai due personaggi principali: il sempre bravissimo Tom
Hanks nei panni del capo Edgecombe, combattuto tra il senso del dovere e la sua
alta moralità che si evidenzia in una naturale gentilezza, ed il sorprendente Michael
Clarke Duncan, nel difficile ruolo del gigantesco Coffey, a cui Dio ha dato e
tolto (tanto) in egual misura. Sospeso in bilico tra horror e fantastico, brutalità
e commozione, lirico e tragico, è un apologo triste sulla natura umana, sui
rapporti che possono nascere in situazioni estreme, in cui la componente
“miracolosa” diventa metafora, cristiana, dell’ascesi catartica di uno spirito
innocente di fronte a una profonda ingiustizia subita. Nonostante qualche
furbizia retorica ed una certa prolissità dovuta all’estrema lunghezza è
un’opera ammaliante che colpisce nel segno e non si fa
dimenticare, proprio come il suo gigante protagonista.
Voto:





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