Cinque anni dopo l'arresto del suo peggior nemico, Blofeld, James Bond ha rotto la sua relazione con Madeleine ed ha lasciato il servizio segreto di Sua Maestà per ritirarsi a vita privata in Giamaica. Ma il passato torna a bussare alla sua porta sotto le sembianze dell'amico Felix Leiter, agente della CIA, che lo vuole accanto a sè in una cruciale missione per ritrovare un geniale scienziato rapito da un folle terrorista, Lyutsifer Safin, un tempo membro della SPECTRE e adesso a capo di un'organizzazione entrata in possesso di un'apocalittica arma biologica, che potrebbe sterminare gran parte della popolazione mondiale. Dopo diverse peripezie Bond ritorna a Londra, dove trova una nuova agente donna che ha preso il suo posto come 007 e rincontra anche Madeleine, il cui doloroso passato sembra avere sinistri legami con il nuovo nemico Safin. A sei anni di distanza dal deludente Spectre (2015) di Sam Mendes, dopo una produzione lunga e travagliata prima a causa delle indecisioni di Daniel Craig a riprendere il ruolo di 007, poi per il clamoroso addio di Danny Boyle (che decise di mollare tutto poco prima dell'inizio delle riprese per divergenze creative con la EON Production, detentrice dei diritti del personaggio) e infine per la pandemia di covid-19 che ne ha fatto slittare di continuo l'uscita, il 25-esimo capitolo della longeva saga di James Bond (il quinto e ultimo dell'era Craig) ha visto finalmente la luce con la regia di Cary Fukunaga, che ha anche collaborato alla sceneggiatura insieme agli abituali (e fidati) Neal Purvis e Robert Wade. E' difficile parlare in maniera esaustiva di questo Bond-25 senza fare spoiler sulla trama e sul finale. Ma, visto che fare rivelazioni che rovinerebbero la visione dei lettori sarebbe ancora più grave, mi limiterò ad un discorso più ampio e generalizzato sui 5 episodi del periodo Craig, che hanno cambiato radicalmente la saga elevandola ad un successo commerciale mai raggiunto in precedenza e portando il personaggio su percorsi nuovi, coraggiosi, inesplorati, rendendolo più cupo, più tormentato, più fragile, più brutale, più romantico, in una parola: più umano, e, quindi, molto più sfumato e interessante. I cinque Bond con Daniel Craig hanno alzato decisamente l'asticella della qualità, dello spessore, dell'introspezione e dello scandaglio emotivo-psicologico, stabilendo un precedente di notevole eccellenza che sarà difficile superare e con cui il successore dovrà inevitabilmente fare i conti. Un'impresa difficile, non solo per l'attore (o l'attrice?) che sarà scelto come futuro 007, ma anche per l'intero team tecnico-creativo che dovranno decidere che direzione intraprendere, cosa inventarsi di nuovo dopo questi 5 film e che futuro dare ad una saga nata nel lontano 1962 e ancora amatissima dal pubblico. L'era Craig è stata all'insegna di un brillante reboot che ha fatto reset di tutto quanto visto in precedenza, ripartendo daccapo, con un Bond ancora acerbo appena promosso agente "doppio 0" e che è stato poi ampiamente sviscerato e messo a nudo durante i diversi capitoli. L'intera miniserie degli ultimi 5 film è stata all'insegna di un profondo restyling, giocato sul filo dell'equilibrio tra il rispetto della tradizione e una modernità sempre più accentuata, con cambiamenti radicali, fino a divenire addirittura iconoclasti rispetto ai consolidati cliché che hanno cementato nel tempo la mitologia della saga e del personaggio. In tal senso questo No Time to Die rappresenta la chiusura ideale, inevitabile, struggente e sicuramente epocale di questa progressiva iconoclastia, che qui viene spinta all'enfasi massima in maniera sorprendente e che ha reso James Bond sempre più umano e sempre meno super eroe, arrivando a toccare in questo malinconico last waltz punte melodrammatiche mai viste prima, ovviamente senza mai dimenticare le grandi scene d'azione, il glamour, le ambientazioni esotiche, le belle donne e i tocchi (misurati) di ironia british. A parte l'epilogo di grande effetto, risultano particolarmente riusciti lo straordinario prologo a Matera a tutta azione, l'incontro con la nemesi Blofeld ed il segmento cubano, con una Ana de Armas che buca lo schermo e che, probabilmente, poteva anche essere utilizzata meglio e più a lungo. Bene anche la Nomi (novella 007) di Lashana Lynch, così così la Bond-girl principale di Léa Seydoux (anche se questo termine appare ormai desueto e poco sensato, e non solo per la spinta ideologica del #me_too) ed il villain di Rami Malek, un po' troppo convenzionale e non molto approfondito. Non senza un pizzico di emozione ci congediamo dal James Bond di Daniel Craig che mancherà molto a tutti i fans della saga e la cui grandezza apparirà ancora più chiara nei decenni a venire. Adesso sarebbe poco elegante mettersi a fare ipotesi, scommesse e pronostici sul futuro di 007, l'unica cosa certa, come promesso ogni volta a fine titoli di coda, è che "James Bond ritornerà". Staremo a vedere come, quando e con quali nuove idee narrative.
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