sabato 11 settembre 2021

Il gioiellino (2011) di Andrea Molaioli

La LEDA è un'azienda piemontese del settore agroalimentare a conduzione familiare di proprietà di Amanzio Rastelli, imprenditore di successo impegnato in tante attività, tra cui il calcio, il sociale, la cultura, gli enti benefici, la borsa, i mezzi di informazione e il turismo. La gestione economica dell'azienda è nelle mani del fidato contabile Ernesto Botta, un uomo chiuso e ruvido, ma abilissimo con i conti e le questioni finanziarie. Dopo anni di gestione disinvolta e imprudente, necessaria a mantenere una facciata all'insegna del lusso e della grandezza per apparire competitivi sul mercato internazionale, la società si ritrova piena di debiti e sull'orlo del baratro. Rastelli affianca al suo ragioniere la nipote Laura, giovane rampante e preparata, con prestigiosi titoli accademici ma con scarsa esperienza rispetto ai giochi sporchi della finanza. Il pragmatico Botta, pur di non vedere ridimensionata l'azienda che sente come sua, decide di truccare i bilanci, gonfiare gli utili e far "comparire" soldi che in realtà non ci sono. Il secondo lungometraggio di Andrea Molaioli è un cupo dramma sociale ispirato alle reali vicende del crac della Parmalat, con nomi, luoghi e situazioni opportunamente modificati per mantenere il tono di un racconto di fiction con evidenti richiami alla recente cronaca italiana. Così come il suo precedente film, La ragazza del lago (2007), era un falso giallo con intenti di affresco esistenziale su un microcosmo di provincia, analogamente questo suo secondo lavoro è un'opera in cui la critica agli squali della finanza, ai loschi faccendieri, alle subdole manovre "creative" di un capitalismo corrotto che altera bilanci, evade le tasse e imbroglia gli investitori per il proprio tornaconto è sì importante, ma non occupa il primo posto nei reali propositi del regista. Infatti Molaioli si limita, con l'approccio algido di uno scienziato che osserva un fenomeno e ne annota gli effetti, a raccontare i fatti, a tracciare il profilo psicologico dei personaggi, con lucidità di analisi e dovizia di dettagli, senza mai giudicarli, condannarli o assolverli, ma lasciando l'onere allo spettatore. Quello che maggiormente sta a cuore all'autore è tracciare un dossier antropologico su un ambiente borghese e provinciale (in questo caso la provincia piemontese) per (di)mostrare che certi comportamenti, certe mentalità, certe scorciatoie morali e certe avidità sono congenitamente intrinseche in determinate fasce sociali del nostro paese, come un vizio di forma, un peccato originale o un cancro endemico che non si può eliminare e che, in molti casi, viene tacitamente accettato, tollerato o addirittura ritenuto "normale". Più che un film di denuncia in senso stretto è un film di amara riflessione, che prende atto di certi malcostumi e li descrive perfettamente dal loro interno, per portarli all'attenzione generale. Molaioli riconferma il suo sguardo tagliente e originale, il suo approccio teorico e raffinato in una pellicola scabra e inquietante, mai ammiccante e mai compiacente, fieramente anti-spettacolare, ma a suo modo definitiva per la sua disamina impeccabile. Nel cast che annovera Toni Servillo, Remo Girone, Sarah Felberbaum, Lino Guanciale e Renato Carpentieri, svettano un glaciale Servillo che recita per sottrazione e la luminosa Felberbaum, inglese naturalizzata italiana dal volto fresco e pulito. Straordinaria fotografia dai toni plumbei di Luca Bigazzi.

Voto:
voto: 3,5/5

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