John Hobbes, efficiente detective della squadra omicidi di Filadelfia, vede finalmente morire nella camera a gas un pericoloso serial killer, Edgar Reese, da lui arrestato tempo prima dopo una lunga caccia, che per lui era diventata una vera ossessione. Ma poco dopo l'esecuzione di Reese i delitti ricominciano, in modalità molto simili ai precedenti, per mano di uno squilibrato che sembra nuovamente sfidare Hobbes attraverso una serie di tracce lasciate sulla scena del crimine. Indagando sulle scoperte di un suo predecessore, che aveva investigato a lungo su casi simili per poi sparire nel nulla, il sempre più angosciato Hobbes inizia a sospettare che dietro a questo incubo ci sia qualcosa di diabolico di natura non umana. Truce horror mefistofelico di Gregory Hoblit, scritto da Nicholas Kazan e arricchito da un sontuoso cast, che annovera grandi attori quali Denzel Washington, Donald Sutherland, John Goodman e il compianto James Gandolfini. La prima metà del film è decisamente interessante, misteriosa, inquietante e carica di suspense oscura. C'è poi una sequenza centrale di forte impatto (che resta sicuramente impressa nella memoria) dopo la quale l'arcano viene svelato e la pellicola perde forza, inerpicandosi su sentieri narrativi impervi e virando decisamente verso suggestioni horror più convenzionali, artificiose e prevedibili (con l'idea di base particolarmente debitrice dell'affascinante predecessore L'alieno (The Hidden, 1987) di Jack Sholder). Da salvare l'epilogo e il tormentone del brano "Time Is on My Side" dei Rolling Stones come leitmotiv dell'ineffabile assassino. Alcuni, non senza forzature, hanno voluto vedere nel film una metafora delle grandi paure, "contagiose" e isteriche, di fine millennio. Ma tutto è troppo superficiale e grossolano per volergli attribuire un significato così allegoricamente sottile, come dimostrato dall'escalation di stereotipi della seconda tranche dell'opera in cui la narrazione, i sottotesti psicologici e i personaggi vengono maldestramente fagocitati dall'azione.
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