venerdì 10 settembre 2021

The Big Kahuna (1999) di John Swanbeck

Nella suite di un hotel del Midwest, tre venditori di una compagnia di oli lubrificanti in crisi cercano di prendere all'amo un potenziale ricco cliente e realizzare il "Big Kahuna" (il grande colpo). Durante l'attesa i tre parlano tra di loro di questioni lavorative, della loro vita e di sè stessi. I due più maturi ed esperti si adoperano nel dare consigli al più giovane, un battista fervente che pensa più alla religione che alle vendite. Dramma teatrale di John Swanbeck, tratto dalla pièce "Hospitality Suite" di Roger Rueff, che ha scritto anche la sceneggiatura del film. E' un ostico esempio di cinema-teatro tutto costruito sui dialoghi, un cinema di parole ambientato in una singola stanza, la verbosa attesa di un evento sperato, che potrebbe cambiare le cose, o magari no. In questo kammerspiel americano, a volte ampolloso a volte brillante, si spazia dalle futilità quotidiane ai grandi temi dell'esistenza, senza dimenticare le piccole meschinità della natura umana e le ciniche regole del capitalismo. Non sempre il film funziona, a volte si ingolfa nella ricerca forzata della frase giusta, del discorso tagliente. Ma, quando funziona, lo fa in maniera egregia. E' essenzialmente una pellicola di attori, i tre protagonisti principali che quasi sempre condividono la scena: Kevin Spacey, Danny DeVito, Peter Facinelli. Spacey, anche produttore, si ritaglia il ruolo più appariscente, porta il peso della storia sulle sue spalle, ma un sorprendente Danny DeVito, serafico e concreto, gli ruba spesso e volentieri la scena, e alla fine lo realizza lui il "Big Kahuna" delle interpretazioni. Detestato dalla critica d'oltreoceano, ha avuto giudizi più positivi in Europa, ma è passato praticamente in sordina alla sua uscita nelle sale. Il monologo sulla vita di Danny DeVito vale il prezzo del biglietto.

Voto:
voto: 3/5

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