mercoledì 8 settembre 2021

Still Alice (2014) di Richard Glatzer, Wash Westmoreland

Dal romanzo omonimo di Lisa Genova. Alice Howland, brillante professoressa universitaria di linguistica, moglie devota e madre affettuosa, è una donna felice e realizzata, che sembra aver avuto tutto dalla vita. Ma un giorno, di colpo, si blocca in una piazza cittadina come colpita da un improvviso blackout cerebrale, rimane smarrita per alcuni lunghissimi istanti prima di riprendersi e decidere di rivolgersi a un medico. La diagnosi è tremenda: una rara forma di Alzheimer a esordio precoce e progressione aggressiva. Una malattia che, gradualmente e inesorabilmente, le porterà via tutti i ricordi, compreso la coscienza di sè. Dopo lo sconforto e la disperazione Alice si decide a lottare con tutte le sue forze, tra l'amarezza e il sostegno dei familiari. Questo intenso dramma personale diretto dalla coppia Glatzer e Westmoreland appartiene alla categoria di quei film basati su una tragica malattia incurabile che colpisce uno dei protagonisti, con tutte le dolorose conseguenze fisiche, psicologiche, intime, familiari e sentimentali che ne conseguono. Queste pellicole, spesso superficialmente definite come "strappalacrime", sono, per ovvi motivi, di grande e facile presa per il pubblico, ma anche ad altissimo rischio di retorica, di pietismo e di scivoloni patetici ricattatori ai danni dello spettatore. In questi casi il confine tra l'effettismo penoso e il realismo narrativo risulta sovente labile, ed è facilissimo incappare nelle "tentazioni" del drammone stucchevole che va a stimolare le corde di facili emozioni. I due registi riescono, in parte, ad evitare queste trappole lasciando fuori fuoco la malattia e tutte le componenti morbose, per concentrarsi essenzialmente sulla tenacia della protagonista nel cercare di opporsi alla cancellazione della propria memoria, con una disperata voglia di aggrapparsi a quello che resta della sua vita (presente e passata), fino a quando possibile. La magistrale interpretazione di una Julianne Moore di toccante umanità, in un complesso mix di fragilità e resilienza, aiutano notevolmente a mantenere equilibrato il tono dell'opera, limandone i possibili eccessi melodrammatici anche con un sottile utilizzo straniante dell'ironia in alcune sequenze topiche. La pellicola, che procede senza guizzi e senza tonfi particolari, ha anche il merito di accendere i riflettori su una malattia molto seria e diventata di "pubblico" dominio da non troppi anni,  costituendo una valida fonte di prima informazione, attendibile dal punto di vista delle descrizioni mediche e degli effetti del morbo. Uno dei temi più intimi della vicenda è quello della disconnessione, attraverso cui Alice perde progressivamente contatto con il mondo, con i suoi affetti, con i suoi ricordi e infine con sè stessa. A questo fa da contrappunto il suo tentativo indomito di riconnessione emotiva con i frammenti di vita che stanno svanendo. Un tentativo effettuato attraverso i rapporti familiari, la vicinanza con le persone care e attraverso l'arte, di cui viene sottolineato il valore consolatorio e "salvifico". Impossibile non ricordare la sequenza in cui la figlia di Alice (interpretata da Kristen Stewart) legge alla madre pagine e pagine di grande letteratura, per cercare di compensare il dolore con il bello. Completano il cast Kate Bosworth, Alec Baldwin e Hunter Parrish. Per la sua interpretazione Julianne Moore si è aggiudicata tutti i premi di miglior attrice dell'anno: Oscar, Golden Globe, British Academy Film Awards, Screen Actors Guild Award. Un autentico trionfo per la bravissima interprete del North Carolina, che è finalmente riuscita a vincere il suo primo Oscar, alla quarta nomination della sua carriera. 
 
Voto:
voto: 3/5

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