domenica 26 settembre 2021

Funny Games (2007) di Michael Haneke

Una famiglia borghese (George, Ann e il piccolo Georgie) si reca in vacanza nella loro bella casa sul lago in quella che sembra essere una meravigliosa giornata di relax. Due giovanotti vestiti di bianco e dalle maniere gentili gli entrano in casa con la scusa di chiedere delle uova. Sarà l'inizio di un incubo terribile. Esattamente a 10 anni di distanza dall'uscita del suo primo capolavoro che lo impose all'attenzione del pubblico europeo, Funny Games (1997), Michael Haneke, sulla spinta del produttore Chris Cohen, decide di girarne un remake calligrafico (ovvero shot-by-shot) americano, in lingua inglese e con attori anglofoni. A molti l'operazione ha ricordato quella (invero molto più controversa e criticata) eseguita da Gus Van Sant con il suo remake di Psycho del 1998. Anche nel caso di Haneke la domanda nasce spontanea: era necessario? Sì e no. No perchè l'originale è, a suo modo, un'opera già perfetta per quello che intende rappresentare e comunicare, cosa che riesce a fare benissimo, con una messa in scena ipnotica, disturbante e glaciale ed un impianto teorico metaforico di grande potenza, grottesca suggestione e sadica fascinazione. Sì perchè questa nuova versione ha essenzialmente due scopi: riattualizzarne il messaggio critico verso la spettacolarizzazione della violenza operata dai mass media (che nel '97 poteva avere un vago sapore di preveggenza, ma 10 anni dopo appare ancora più attuale in tutta la sua pregnante drammaticità) ed accrescere la visibilità del film a livello internazionale, con un chiaro riferimento al pubblico americano (o anglofono in generale). E questo remake centra l'obiettivo, risultando precisamente identico all'originale nella storia e nelle sequenze, ma con attori diversi (e molto famosi) ed ambientazioni esterne di chiara identificazione statunitense (la location principale è Long Island, nello stato di New York). Il cast è composto da volti noti come Naomi Watts, Tim Roth, Michael Pitt e Brady Corbet, ma, se l'interpretazione della Watts è straordinaria, le altre risultano generalmente inferiori e meno efficaci di quelle dell'opera del '97, con particolare riferimento al personaggio dello spietato aguzzino Paul, con Arno Frisch che vince idealmente per KO tecnico il duello a distanza con l'efebico Michael Pitt. Tutti i discorsi e le considerazioni già fatte nella recensione di Funny Games '97 continuano parimenti a valere in questo caso, con l'aggiunta che la collocazione americana, paese guida del capitalismo occidentale in cui l'invadenza mediatica ha livelli di ferocia e di cinismo ineguagliabili, gli conferisce un'aura ancora più inquietante rispetto al suo senso profondo. I cinefili più zelanti si sono divertiti a guardare insieme le due versioni per elencarne pedissequamente alcune minime differenze, ma ovviamente si tratta di quisquilie per nerd buontemponi che amano questo tipo di curiose statistiche, che in certi ambiti fanno molta élite. L'attore Tim Roth, amatissimo dal grande pubblico soprattutto per le sue collaborazioni con Tarantino, ha dichiarato di essere uscito molto scosso dalla lavorazione di questo film e che, inizialmente, aveva cercato in tutti i modi di rifiutare la parte, perchè trovava il soggetto troppo scioccante dal punto di vista psicologico. Michael Haneke ha sempre detto che senza la partecipazione di Naomi Watts al progetto (per lui prima e unica scelta per il ruolo di Ann) non avrebbe mai accettato di girare il remake. In alcuni paesi è stato distribuito con il titolo Funny Games U.S. per distinguerlo chiaramente dall'originale. Per tutti coloro che lo ignorassero (e probabilmente non sono in pochi) potrebbe essere l'occasione giusta per guardarlo e cimentarsi con questo magistrale trattato di cinema della crudeltà di altissimo spessore allegorico. Ma la visione dell'originale è in ogni caso preferibile, già solo per la sua aria più acerba e seminale, che lo rende più intimamente perturbante.
 
Voto:
voto: 4/5

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