lunedì 14 giugno 2021

Allonsanfan (1974) di Paolo e Vittorio Taviani

Nel 1816, dopo la sconfitta di Napoleone e il Congresso di Vienna che restaurò i vecchi poteri, il nobile lombardo Fulvio Imbriani, ex giacobino, poi entrato nell'esercito del Bonaparte e poi ancora iscrittosi ad una sgangherata fazione della Carboneria, recupera le sue proprietà e ritorna alla sua vita di agi borghesi, decidendo di accantonare i suoi mutevoli coinvolgimenti politici. Uomo disincantato, voltagabbana, opportunista e gaudente, si lascia coinvolgere dalla donna che gli ha dato un figlio in una spedizione rivoluzionaria per liberare il Sud Italia dal giogo borbonico, guidata dall'esule Vanni detto "peste", un uomo dal passato criminoso. Ma Fulvio non è affatto un compagno affidabile e i rivoltosi se ne accorgeranno ben presto. Complesso dramma storico di ambientazione risorgimentale dei fratelli Taviani, che realizzano un film acido, spigoloso, di non facile decifrazione morale e di pungente sarcasmo politico, che parla al passato ma guarda al presente, stabilendo una sottile connessione tra le ambiguità del protagonista, la situazione italiana del 1816 e quella degli anni di piombo, quando il film uscì nelle sale. Incompreso dal pubblico e poco amato dai critici per la sua aspra singolarità e ardua lettura ideologica, è invece un'opera di alto spessore che sceglie un punto di vista astorico, attraversata da scarti allucinati di natura fantastica, per "dimostrare" la sua tesi polemica, in linea con lo spirito pungente e poco conciliante dei due grandi registi, che amano rileggere la storia antica per farne una metafora dell'oggi. Costruito su un protagonista scomodo e contraddittorio, un antieroe trasformista e con poche qualità morali, che insegue utopie improbabili, si perde nei piaceri della lussuria e della ricchezza, e cerca improbabili catarsi in crociate ideologiche che abbandona presto, con instabile lunaticità, tornando nuovamente ad obliarsi nelle sue gozzoviglie, senza curarsi dei danni procurati dalle sue scelte sconsiderate. Un personaggio indubbiamente difficile e interessante, ricco di incongruenze e di sfaccettature, interpretato in maniera sublime da Marcello Mastroianni, in una delle sue performance più complesse e memorabili. Il film, che esteticamente omaggia a piene mani il cinema di Visconti e il melodramma classico, è un aspro libello politico schierato a sinistra e dalle due anime contrapposte: restaurazione e rivoluzione. Muovendosi senza timori su queste due grandi direttrici concettuali, i Taviani chiariscono implicitamente la loro posizione politica, rendendo il film un apologo anti-reazionario che depreca ogni forma di regressione storica come morte degli ideali, dello spirito ribelle e delle utopie rivoluzionarie, annichilite sotto il dorato miraggio di un tranquillo benessere. Questo meccanismo, che è evidente nell'atteggiamento di Fulvio Imbriani, è manipolato dal potere, che mira al mantenimento dello status quo, ma si fonda anche su qualcosa di più intimo e profondo, presente in ognuno di noi: la paura del cambiamento e la pavida scelta "facile" dell'immobilità. Sono palesi le allusioni a quanto accaduto in Italia dopo il crollo delle utopie sessantottine, con la violenta restaurazione eseguita dal potere politico negli anni '70 che ha prodotto, come "effetti collaterali", la nascita dei movimenti di reazione eversivi, facendoci entrare nel caos violento degli anni di piombo. E' ovviamente legittimo non essere d'accordo con la chiave interpretativa dei Taviani, ma l'altezza intellettuale di un simile progetto analitico, che cerca di scavare nelle pieghe della storia, è parimenti fuori discussione. Menzione speciale per le interpreti femminili (Lea Massari, Mimsy Farmer, Laura Betti) e per l'estrosa colonna sonora di Ennio Morricone. Il titolo della pellicola è una storpiatura italianizzata del primo verso de "La Marsigliese": "Allons enfants".

Voto:
voto: 4/5

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