Fausto Di Salvio, ricco editore romano, annoiato dalla sua vita monotona di lussi e conformismo, decide di partire per l'Africa alla ricerca del cognato Oreste Sabatini, detto "Titino", scomparso da diversi anni dopo un viaggio nel continente nero da cui non è mai tornato, nè ha fatto mai avere notizie sulla sua sorte. Fausto trascina con sè il mite ragioniere Palmarini, suo fedele dipendente che lo aiuta a ricostruire le tracce del passaggio di "Titino". Qui i due incontreranno una serie di bizzarri personaggi e riceveranno notizie discordanti sulla sorte dell'uomo scomparso. Dopo molte peripezie lo ritroveranno vivo, vegeto e perfettamente integrato in un villaggio di indigeni locali, di cui "Titino" è diventato una sorta di stregone amato e rispettato. Fausto cerca di convincerlo a ritornare in Italia dalla sua famiglia ma, dopo le esperienze vissute, che lo hanno profondamente cambiato, inizia a dubitare egli stesso su quale sia la cosa giusta da fare. Commedia esotica avventurosa di Ettore Scola, scritta dal regista insieme ad Age & Scarpelli, ambientata nell'Angola selvaggia (che al tempo era colonia portoghese) e liberamente ispirata ad una serie di fonti eterogenee, tra cui "Cuore di Tenebra" di Joseph Conrad, i romanzi di Emilio Salgari del ciclo malese e il fumetto della Walt Disney "Topolino e il Pippo-tarzan". Interpretato da tre attori formidabili come Alberto Sordi, Bernard Blier e Nino Manfredi (con quest'ultimo che compare solo nella parte finale e che, dal momento della sua entrata in scena, "si mangia" il film), è un affascinante on-the-road all'italiana sul tema del "mal d'Africa" (particolarmente di moda alla fine degli anni '60), forte di ambientazioni lussureggianti, inserti da "mondo movie" e dei mitici tramonti africani, ma anche di riflessioni sarcastiche sulla crisi della società del benessere capitalistico, sulla noia esistenziale della borghesia (che non ha l'umiltà di mettersi in discussione, nè tanto meno la forza di cambiare) e sull'arroganza provinciale dei ricchi bianchi nel terzo mondo. Il messaggio naturalistico contenuto nel film, non esente da retorica populista, è declinato con perentoria efficacia, grazie al sapiente lavoro di scrittura e alla bravura degli attori (con Manfredi e Blier più convincenti del protagonista Sordi). Il personaggio di Sordi appare meno meschino e spregevole del solito, ma principalmente confuso, smarrito e fortemente ambiguo. Per alcuni critici questa interpretazione darà inizio ad una progressiva svolta nella galleria di maschere italiane del grande comico romano. Il film ebbe un grande successo di pubblico e sbancò il botteghino nazionale, anche grazie alla location insolita, evocativa e particolare, ma non fu particolarmente amato dalla critica, specie da quella più snob. Alcuni dei suoi temi portanti (la crisi intrinseca della società del benessere e la fuga come viatico salvifico) saranno poi ripresi, anni dopo, da autori come Gabriele Salvatores, che ne farà addirittura i suoi cavalli di battaglia.
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