venerdì 18 giugno 2021

Risate di gioia (1960) di Mario Monicelli

Gioia Fabricotti, detta "Tortorella", fa la comparsa a Cinecittà ma si atteggia a prima donna, dandosi arie da grande diva del cinema. Umberto Pennazzuto, detto "Infortunio", è un ex attore di quart'ordine costretto ad arrangiarsi come può per campare. I due si conoscono da tempo e si ritrovano casualmente insieme la notte di Capodanno, perchè Gioia è stata mollata all'ultimo momento dalla sua comitiva di amici e non vuole festeggiare da sola. Ma la donna non sa che Umberto ha promesso di fare da palo al giovane borseggiatore Lello, che vuole approfittare del clima festaiolo e della confusione generale per sgraffignare qualche oggetto di valore. Umberto fa credere a Gioia di esserne innamorato e finge di corteggiarla, sperando che non ostacoli i suoi piani. Lei ne risulta lusingata e, in preda all'euforia della festa, accetta di buon grado le (false) attenzioni dell'uomo. Gli eventi prenderanno una piega imprevista rispetto a quanto speravano i due compari truffaldini. Commedia amara di Mario Monicelli, liberamente ispirata a due novelle di Alberto Moravia: "Le risate di gioia" e "Ladri in chiesa", contenute nella raccolta "Racconti romani", pubblicata nel 1954. E' un film notturno che alterna situazioni buffe a toni malinconici, le cui atmosfere sono in netta antifrasi rispetto al titolo beffardamente ironico. E' costruito su due bei personaggi tristemente teneri, due perdenti crepuscolari che si arrabattano come possono, smarriti ed emarginati da una società che è cambiata troppo in fretta a causa del boom economico e con la quale non riescono a sintonizzarsi, anime perse in balia di un'epoca di apparente benessere che però nasconde nel profondo contraddizioni, prevaricazioni, ingiustizie, alienazioni. Nel cast spiccano una Anna Magnani sorprendentemente bionda ma con il consueto carisma scenico, un intenso Totò in forma smagliante ed un giovane Ben Gazzara, perfettamente a suo agio al cospetto dei due grandi del cinema italiano. Il rapporto sul set tra Monicelli e la Magnani, che aveva da poco vinto l'Oscar per La rosa tatuata (1955), non fu dei più semplici e il regista si lamentò parecchio del fatto che la celebre diva fosse poco collaborativa e volesse fare tutto di testa sua. Inoltre pare che la Magnani non volesse accettare la parte dopo aver saputo della partecipazione di Totò, che all'epoca godeva di uno strepitoso successo popolare ma era snobbato dalla critica "colta" che, con atteggiamento snobistico, lo considerava una sorta di guitto per spettatori provinciali e non un attore degno di questo nome. Monicelli, che aveva già lavorato col grande comico napoletano e che aveva per lui una sincera ammirazione umana e professionale, riuscì a convincere l'attrice e il risultato si rivelò poi artisticamente eccellente, per quanto il film non fu molto apprezzato dal pubblico che si aspettava una commedia divertente, sia per il titolo sia per la presenza di Totò. Incompresa alla sua uscita, la pellicola è stata ampiamente rivalutata nei decenni successivi e oggi viene giustamente collocata tra i lavori più riusciti dell'autore. Fu la prima e unica collaborazione cinematografica tra Totò e Anna Magnani, che nella scena in cui cantano "Geppina Gepì" (l'unica sequenza davvero comica del film) vollero omaggiare i loro vecchi trascorsi insieme nel varietà, quando non erano ancora famosi.
 
Voto:
voto: 3,5/5

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