venerdì 25 giugno 2021

Io so che tu sai che io so (1982) di Alberto Sordi

Fabio Bonetti, bancario cinquantenne, sposato da 20 anni con Livia, trascina la sua vita coniugale nella monotona routine del quotidiano. La loro stanca tranquillità viene bruscamente interrotta dall'entrata in scena di un investigatore privato che, incaricato da un ricco finanziere sempre in giro per affari di pedinare la moglie, ha sbagliato persona tallonando e filmando la vita di Livia per circa un mese. Venuto in possesso dei filmati Fabio decide di guardarli e non sarà una buona idea. Il decimo lungometraggio di Alberto Sordi regista è una commedia amara che stinge nel dramma familiare, affrontando un problema sociale di scottante attualità come quello della difficoltà di tener vivo un rapporto coniugale senza scadere nella noia, nel conformismo e nell'infedeltà, come invece accade alla maggior parte delle coppie. Un problema da molti pavidamente ignorato, per pigrizia morale e ipocrita quieto vivere, salvo poi affrontarlo con animosità e recrudescenza all'accadere di un "incidente" che rompe la cortina della falsità. Nonostante la presenza di due attori bravissimi e di grande affiatamento come Alberto Sordi e Monica Vitti, il film funziona solo a tratti per colpa di una scrittura scialba e di una regia incerta, che si limita a giostrare su una lunga sequela di sketch tra i due protagonisti, perdendo di vista il senso generale del discorso o affrontandolo, nel finale, all'insegna di un moralismo grossolano, più edificante che caustico. La sensazione generale che emerge è che Sordi regista abbia smarrito la pungente "perfidia" del Sordi attore, limitandosi a dei ritratti convenzionali e stiracchiati, copie sbiadite di quelli folgoranti a cui ci aveva abituato nei decenni precedenti. Ma non tutte le colpe sono a suo carico: è molto probabile che il Sordi autore risenta pesantemente anche della fine (e conseguente crisi) della grande Commedia all'Italiana, incapace di rinnovarsi con nuovi linguaggi e strumenti narrativi per mantenersi al passo con la modernità e con una società troppo cambiata nella mentalità e nei costumi. Il rinnovamento, affidato a nuovi potenziali alfieri quali Verdone, Troisi o Benigni, sembra ispirarsi a modelli più orientati verso temi caricaturali o esistenziali, piuttosto che alla satira sociale o alla presa in giro dei malcostumi dell'italiano medio. L'insieme di queste situazioni contribuisce all'inizio del declino, con progressivo appannamento, dei grandi vecchi "mattatori" di una volta. Alberto Sordi non va escluso da questo discorso e, proprio a partire dagli anni '80, i primi segnali emergeranno in modo chiaro, a parte qualche graffio sporadico che il vecchio "leone" saprà ancora regalare al suo pubblico.

Voto:
voto: 2,5/5

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