Anthony è un ottantenne affetto da una grave forma di Alzheimer e demenza senile, che gli provoca vuoti di memoria, facendogli dimenticare di continuo eventi e persone della sua vita, alterando la sua percezione della realtà e creandogli uno stato di costante confusione che lui sembra non voler riconoscere. L'uomo rifiuta costantemente aiuti esterni, se non quello di Anne, amorevole figlia che si prodiga per lui ma ha in progetto un trasferimento da Londra a Parigi, per vivere con l'uomo che ama. Anthony fa scappare tutte le badanti che la figlia prova ad affiancargli con i suoi comportamenti bizzarri e ostili, fino a quando non arriva la giovanissima Laura, una caregiver che gli ricorda la figlia minore (e prediletta) di cui parla sempre ad Anne, senza peli sulla lingua. L'incontro con uno "sconosciuto" seduto in salotto, che dice di essere il marito di Anne e legittimo proprietario della casa, provoca un assoluto sconcerto in Anthony, che inizia ad avere reazioni scomposte, mentre i frammenti di memoria della sua vita svaniscono o si accavallano in un confuso mosaico. Ma quanto di ciò che lui percepisce sta accadendo realmente? Straordinario esordio alla regia del drammaturgo francese Florian Zeller, che ha scritto e diretto per il cinema questo inquietante dramma psicologico esistenziale, carico di doloroso realismo e di sobria commozione, adattando la sua omonima pièce teatrale ("Le Père") del 2012, già trasposta per il grande schermo da Philippe Le Guay con il meno fedele Florida (2015). The Father (a cui i distributori italiani hanno pedantemente pensato di appiccicare un didascalico sottotitolo, tradendo l'approccio del regista e dimostrando la bassa considerazione che hanno del pubblico) è un film potente, coinvolgente e commovente, capace di toccare nel profondo, ma con stile teso e asciutto, senza retorica, senza sentimentalismi strappalacrime, senza effettismi pietistici o ricatti morali allo spettatore. Sottile e aguzzo come un ago va dritto al cuore del problema senza indulgere in enfasi patetiche, ma riesce a creare suggestivi momenti stranianti di grande cinema grazie alla particolarità della messa in scena, in cui tutto ci viene mostrato attraverso la prospettiva alterata del protagonista, uno straordinario Anthony Hopkins che riconferma il suo talento cristallino nella rappresentazione di personaggi tragici, spigolosi, intellettualmente vanitosi e sottilmente sfumati. Il regista ha espressamente dichiarato di aver realizzato questo film pensando ad Hopkins ancor prima di cominciare a scriverlo. Ma il grande attore gallese è riuscito a superare sè stesso (e quindi anche Hannibal Lecter) regalandoci una performance autorevole, straziante e misurata al tempo stesso, un perfetto equilibrio di espressioni, silenzi, sguardi, esternazioni, manie e linguaggi del corpo, senza mai scadere nell'over-acting o nell'esagerazione artificiosa. Un ammirevole esempio di classe sopraffina che l'Academy ha premiato (a sorpresa ma meritatamente) con l'Oscar al miglior attore protagonista, il secondo della carriera di Hopkins, che non era presente alla spartana cerimonia di premiazione, probabilmente perchè non si sarebbe mai aspettato di vincere nuovamente l'ambita statuetta alla sua sesta nomination e ad 84 anni suonati. The Father non è soltanto un dramma da camera (come molti critici hanno evidenziato) sulla difficile fase del tramonto della vita: è un dramma sulla mente e nella mente, perchè tutto avviene nella psiche di Anthony, nulla di ciò che vediamo ci viene spiegato e la scena stessa diventa quindi narrazione, o meglio un frammento che lo spettatore dovrà incastonare nel confuso puzzle psico-emotivo per comporre il "racconto". Risiede in questo il fascino maggiore e l'originalità della pellicola, per quanto alla fine il suo senso intrinseco e la sua inevitabile chiosa risultino chiarissimi. Anche il resto del cast è di grande livello, in particolare le interpreti femminili al "servizio"del mattatore Hopkins: Olivia Colman, Olivia Williams e Imogen Poots. Il film ha ricevuto anche un secondo Oscar: alla sceneggiatura di Florian Zeller e Christopher Hampton, come ulteriore "prova" dell'estrema qualità del progetto artistico. Menzione speciale per l'epilogo, memorabile, struggente e di notevole altezza simbolica: la connessione emotiva ed estrema tra due figure archetipali, il "padre" (protagonista fin dal titolo) e la "madre", ovvero la matrice per eccellenza, la fonte della vita a cui tutti inconsciamente sempre tendiamo ed a cui desideriamo intimamente di ritornare: ultimo conforto per "alberi senza più foglie", tenero abbraccio in cui consumare "quel che resta del giorno".
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