Nel caldo agosto romano, Fortunata è una sgallettata di periferia, madre single di una bambina problematica che rifiuta di parlare, vessata da un marito rozzo e violento che non accetta la separazione e le piomba spesso in casa, aggredendola con insulti e tentativi di molestie sessuali. Popolana tosta e risoluta, un po' truce ma con le idee chiare, fa la "shampista" a domicilio nelle case dei borghesi abbienti e mette i soldi da parte per realizzare il suo sogno nel cassetto: aprire un salone di parrucchiera tutto suo. L'incontro con Patrizio, psicoterapeuta infantile che si occupa del sostegno a sua figlia tramite i servizi sociali, è l'occasione per un possibile cambiamento. Ma Fortunata, che sembra esserlo di nome ma non di fatto, non aveva previsto l'amore nel suo piano di vita. "Drammone" pseudo-popolare diretto da Sergio Castellitto e scritto da sua moglie, Margaret Mazzantini, all'insegna di un effettismo viscerale ed eccessivo, carico di colori, di umori, di pulsioni e di vitalità che parte dal basso, proprio come i suoi personaggi, anime alla deriva che combattono, tra molte delusioni e qualche speranza, nell'arengo degradato dei ghetti periferici romani, "dove i tram non vanno avanti più" (citando un verso di una celebre hit di Eros Ramazzotti). Ma tutto è troppo artificioso, caricato, urlato, forzato, colorito e caricaturale per risultare credibile, in un costante accumulo programmatico di scene madri, strepiti familiari, rapporti difficili, maldestre connessioni "alte" (l'Antigone di Sofocle), traumi strumentali, distanze culturali o sociali incolmabili, sfoghi emotivi, con svariati capitomboli nel trash e nel ridicolo involontario. E' come se gli autori Castellitto-Mazzantini fossero partiti con l'idea del pasoliniano Mamma Roma attualizzato all'epoca contemporanea, immergendolo in un contesto ambientale alla Ozpetek e utilizzando la nevrotica frenesia linguistico-narrativa di Gabriele Muccino. E, non a caso, il coprotagonista è uno dei "suoi" attori, un impomatato Stefano Accorsi che, manco a dirlo, è anche la nota più dolente del film, con un personaggio posticcio, snaturato, fuori contesto e fuori parte. Ma anche la grintosa Jasmine Trinca, attrice solitamente eccellente in tutto quello che fa, si dà un gran da fare e arranca sgraziatamente per (mal)vestire i succinti abiti della coatta di borgata, ma è costantemente in over-acting, scadendo spesso nella volgare macchietta. Risultano invece perfetti e calibrati Alessandro Borghi, Edoardo Pesce e la rediviva Hanna Schygulla, attrice di gran classe e di statura internazionale, ex musa di Fassbinder, che mancava da un set italiano dai tempi de Il futuro è donna (1984) di Marco Ferreri. Sono questi tre attori a salvare parzialmente il film dal disastro assoluto. Eppure ai David di Donatello hanno premiato la Trinca, quindi qualcuno tra noi avrà visto un altro film, evidentemente.
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