lunedì 28 giugno 2021

La donna scimmia (1964) di Marco Ferreri

Antonio Focaccia, viscido "maneggione" che vive di espedienti, trova in un ospizio Maria, una giovane donna dal corpo interamente ricoperto di peli, che vive nascondendosi dal mondo, vergognandosi del suo aspetto. Antonio la seduce, la sposa e poi la convince ad esibirsi come fenomeno da baraccone, spacciandola per una donna-scimmia trovata nella giungla africana. Dopo essere stata a lungo sfruttata dal suo manager-marito, Maria scopre di aspettare un figlio. Questo dramma surreale abilmente sospeso tra amore e crudeltà, cinismo e provocazione, poesia e sgradevolezza, segna probabilmente l'apice del genio grottesco di Marco Ferreri, autore inevitabilmente controverso e mai banale, sempre in bilico tra lo scandalo programmatico e l'estrosa visionarietà trasgressiva. Il film è una cruda satira metaforica che affronta con coraggio concetti delicati quali "normalità" e "mostruosità", senza dimenticare il voyeurismo, la mercificazione del dolore, l'avidità meschina della natura umana, e non ultima la dissacrante concezione distorta di famiglia che qui ci viene presentata, come beffarda allegoria della crisi che l'istituzione atavica per eccellenza della società italiana stava attraversando negli anni del "miracolo" economico. Una crisi che il grande autore milanese ha saputo cogliere in netto anticipo sui tempi, raccontandola alla luce della sua poetica basata sulla perfida derisione paradossale. Un discorso di questo tipo era già stato affrontato dal regista nel precedente L'ape regina (1963). Il film, prodotto da Carlo Ponti, doveva essere inizialmente interpretato da Sophia Loren (moglie del produttore), che però rifiutò un ruolo così ripugnante e inconsueto per la sua immagine tipica. Alla fine la parte di Maria, fondamentale per la buona riuscita della pellicola, andò alla francese Annie Girardot, che ci regala una performance intensa e pateticamente memorabile, finendo quasi per oscurare il pur incisivo Ugo Tognazzi, alle prese con un altro ruolo decisamente scomodo. Poco apprezzato da critica e pubblico alla sua uscita, il film è stato ampiamente rivalutato nei decenni successivi, come del resto accaduto per quasi tutte le opere di Ferreri, autore creativamente sulfureo e sottilmente perverso, decisamente troppo avanti per i suoi tempi. Esistono ben tre finali dell'opera: quello originale voluto dal regista, che è un trionfo di cattiveria ma è perfetto rispetto alla logica di acre sarcasmo del film. Quello imposto da Carlo Ponti, che giudicò l'epilogo di Ferreri troppo crudele e lo sforbiciò nella parte finale, modificandolo nella sostanza. E, infine, il così detto "finale francese", che è addirittura un lieto fine melenso e posticcio, dal quale l'autore si dissociò senza mezzi termini. Nell'edizione in dvd del 2008, curata dalla Mondo Home Entertainment, è stato ripristinato il finale autentico pensato da Ferreri, restituendo così al film tutta la sua carica eversiva cinicamente grottesca e la sua piena dignità di opera d'arte.

Voto:
voto: 4/5

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