Nella Roma papalina del 1809, occupata dai francesi e minacciata dalle campagne napoleoniche, vive il Marchese Onofrio del Grillo, cialtrone goliardico ed edonista, tipico rappresentante della nobiltà romana dell'epoca, lazzarone impenitente dedito alla gozzoviglia libertina e all'ozio lussuoso, genuflesso per convenienza all'autorità papale ma in realtà insofferente di regole e protocolli, amante di piaceri mondani e di malefici scherzi ai danni del popolino, grazie ai quali compiace la sua canagliesca vanità di parruccone impomatato, dai molti vizi e dalle scarse virtù. Il nostro vive in una residenza fiabesca, coccolato da lussi, privilegi, servi lecchini, donne compiacenti e una schiera di beceri popolani che ne assecondano gli appetiti e le stravaganze, sperando in un tornaconto. Le uniche figure autoritarie capaci di imporgli un certo freno decoroso (ma momentaneo) sono la madre austera conservatrice ed il papa Pio VII, a cui il vulcanico Onofrio non ha comunque risparmiato in passato qualcuno dei suoi scherzi impudenti. Perennemente annoiato e in cerca di facili emozioni, il Marchese non disdegna di mescolarsi al popolo, frequentando prostitute, bettole e osterie, e qui incontra, durante una delle sue notti di baldoria, il carbonaio Gasperino, miserabile ubriacone male in arnese, che gli somiglia come un gemello. Per Onofrio è l'occasione irresistibile per architettare la burla suprema. Perfida commedia storica, sboccata, irriverente e villanzona, ispirata ad un personaggio realmente esistito (molto conosciuto a Roma alla sua epoca ma praticamente ignoto appena usciti dalle mura dell'urbe aeterna), realizzata in pompa magna, con un grosso budget ed un notevole sfoggio di costumi, scenografie e ambientazioni, e concepita come il "monumento" definitivo ad Alberto Sordi, l'attore più celebre e rappresentativo della Commedia all'Italiana, a cui Monicelli, che del genere in questione è il padre più autorevole insieme a Dino Risi, ha voluto dedicare questo tributo, una inevitabile standing ovation per un personaggio cucito a pennello per il grande attore e che, infatti, è subito entrato nell'immaginario popolare come la maschera sordiana più amata, pur nella ricca galleria di figure memorabili che "Albertone" ha interpretato durante la sua lunga carriera, simboli esilaranti e grotteschi dell'italiano medio in tutte le forme possibili e immaginabili. Questa celebrazione ha anche il sapore malinconico (forse inconsapevole, ma inconfutabile ad una lettura a posteriori) di un epitaffio nostalgico nei confronti della grande Commedia all'Italiana, ormai definitivamente tramontata già da qualche anno e la cui dolorosa chiosa fu sancita proprio dall'accoppiata Sordi-Monicelli nel memorabile Un borghese piccolo piccolo (1977), di cui questa farsa popolana sulle malefatte del Marchese Onofrio del Grillo costituisce un'ideale nemesi artistica, l'altra faccia di una stessa medaglia. Alberto Sordi è perfetto nel dar vita a questo nobile vizioso e viziato, arrogante e briccone, simbolo perfetto della decadenza dell'aristocrazia romana, la quintessenza dei malcostumi tipici di un certo tipo di italianità. Ma anche nel ruolo del becero Gasperino, l'attore fa ampio sfoggio delle sue istrioniche capacità di mimesi, sottolineando come le due figure non siano poi così distanti, anzi accomunate da molte familiarità nei modi e nella volgarità di pensiero, al di là dell'aspetto fisico, mettendo così in rilievo un filo conduttore comune per la miseria morale della natura umana, a prescindere dall'istruzione e dal ceto sociale. In questo film di enorme successo popolare (fu il secondo maggior incasso nazionale della stagione 1981-82) Monicelli "invade" il territorio della satira papalina tipico di
Luigi Magni, ma pesca parimenti a piene mani dalla sua stessa filmografia pregressa (le "zingarate" di Amici miei, la farsa fanta-storica de L'armata Brancaleone) e realizza una pellicola divertente, spumeggiante, spettacolare, intrisa del suo proverbiale tocco perfido, confezionata con abilità narrativa e sapiente tecnica figurativa, ma non priva di difetti, come la lunghezza eccessiva, un certo compiacimento triviale, qualche scivolone di troppo nel vernacolo effettistico, una "piacioneria" a volte troppo facilona. L'opera è volutamente bozzettistica, si apre e si chiude nello stesso modo ed è strutturata come un'antologia di episodi che raccontano le "gesta" del marchese burlone con ironia caustica ed accenni di critica sociale al classismo imperante dell'epoca. Oltre al divo Sordi, mattatore assoluto, in forma smagliante, memorabile in molte sequenze, ma anche più sfumato e controllato del solito, nel ricco cast svettano Paolo Stoppa e Flavio Bucci. Dopo l'uscita della pellicola e il suo strepitoso successo, nacque una polemica a distanza tra Monicelli e Nanni Moretti, che si disse costernato della popolarità raggiunta da un personaggio così miserabile e negativo come il Marchese del Grillo, accusando implicitamente il regista di diffondere pessimi esempi in un paese come il nostro che ha già parecchi problemi in merito di cultura popolare. Monicelli, da buon "toscanaccio" d'adozione, rispose alla sua maniera, con una battuta geniale e folgorante che può essere vista come emblema del suo cinema irriverente e sottile, il cui senso è che l'Italia si merita ampiamente un "eroe" del genere, Onofrio del Grillo impersonato da Alberto Sordi. Sulla tomba dell'Albertone nazionale è stata scritta, per sua esplicita volontà, una frase del film che recita "Sor Marchese, è l'ora".
La frase: "Mi dispiace, ma io so' io e voi non siete un cazzo!"
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