venerdì 18 giugno 2021

Io speriamo che me la cavo (1992) di Lina Wertmüller

Dall'omonimo libro best-seller di Marcello D'Orta. Il maestro elementare Marco Tullio Sperelli viene trasferito, per un errore burocratico, a Corzano (in provincia di Napoli) invece che a Corsano, nella sua Liguria. Sperelli, uomo onesto, mite e di saldi principi, si trova fin da subito a dover fronteggiare una difficile realtà sociale molto lontana dalla sua, con i bambini che non frequentano la scuola perchè costretti a lavorare per aiutare economicamente le loro famiglie disastrate, la preside che non fa il suo dovere perchè sempre assente ed il bidello che vende i gessetti e la carta igienica al di fuori di ogni regola scolastica. In un mondo in cui lo Stato sembra distante e le norme che regolano la vita civile da intendere "elasticamente", il maestro non si perde d'animo, riesce a costruire un rapporto di fiducia con i bambini (anche con quelli che sembrano irrecuperabili e destinati a vite pericolose) e cerca di migliorare le cose. A mano a mano che si integra, a modo suo, nel nuovo ambiente, Sperelli capisce che non ha solo qualcosa da insegnare ai suoi bambini, ma anche da imparare dall'esperienza di vita che sta affrontando. Commedia folcloristica di Lina Wertmüller, in bilico tra comico e drammatico, un po' affresco verace di costume e un po' sceneggiata straripante di teatralità partenopea. Banale nella solita caratterizzazione convenzionale degli stereotipi tra il Nord e il Sud d'Italia, monocorde nella rappresentazione del paesino napoletano all'insegna dei più sfacciati cliché e non esente da retorico sentimentalismo nella scaltra risoluzione finale, trova i suoi punti di riscatto nella grande interpretazione di Paolo Villaggio (che abbandona finalmente Fantozzi e ci mostra un intenso lato tenero di toccante umanità) e nella recitazione spontanea e sincera dei bambini, che parlano con gli occhi anche senza comprenderne l'idioma dialettale. Il cuore del film è nel rapporto tra il maestro e gli alunni, fatto di piccole sfumature che la regista riesce a cogliere degnamente, anche grazie alla bravura degli attori. La scena migliore è quella della gita alla Reggia di Caserta. Non mancano le solite cadute nel greve, tipiche di molti film della Wertmüller. Rispetto al libro il nome del paese è stato cambiato, per motivi di diritti d'autore, da Arzano nell'immaginario Corzano. 
 
Voto:
voto: 3/5

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