Tre amici, operai di mestiere e con l'hobby della caccia, partono per la
guerra in Vietnam dopo il matrimonio di uno dei tre. Fatti prigionieri
da Vietcong senza scrupoli sono costretti a giocare alla roulette russa
per compiacere i loro aguzzini che scommettono accanitamente su chi vive
e su chi muore. Riusciranno a fuggire, in modo rocambolesco, e
torneranno a casa. Ma le loro vite non saranno mai più quelle di prima.
Il triste capitolo del Vietnam, tra i più tragici della storia americana
recente, ci ha regalato film meravigliosi, alcuni di essi sono tra i
più grandi war movie di ogni tempo. "Il cacciatore", capolavoro
dello scomodo Michael Cimino, è tra questi, superato, probabilmente,
solo da "Apocalypse Now" di Coppola. E' un film allucinato dal forte
fascino oscuro, interamente costruito sui contrasti: ad una prima parte
lenta che dilata volutamente i tempi per approfondire la psicologia dei
personaggi, ne segue una tragica e frenetica, una sorta di incubo
rituale in cui la vita e la morte sembrano toccarsi, separate da una
linea sottile. Più che l'inferno del Vietnam, che resta fuori fuoco, ci
viene mostrato l'inferno che scoppia nell'animo umano dopo la caduta
negli abissi, morali, più profondi. Le terribili scene della roulette
russa sono entrate, a pieno diritto, nella storia del cinema e
nell'immaginario collettivo. Cimino riesce a trasformare una tragica
epopea degli umili in un inappellabile apologo della sconfitta: di una
nazione, di un sogno e dell'uomo. Cinque Oscar e straordinaria
interpretazione di Christopher Walken, che sopravanza il pur ispirato
resto del cast, nella performance della vita, quella che resterà.
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