lunedì 16 dicembre 2013

Nodo alla gola (Rope, 1948) di Alfred Hitchcock

Questo è uno dei suoi film più famosi, soprattutto per le ardite e pretenziose tecniche registiche utilizzate, sebbene non venga generalmente annoverato tra i suoi capolavori. Come già accaduto con il precedente "Prigionieri dell’oceano" ("Lifeboat", 1944), che si svolge su una scialuppa in mare, Hitchcock sceglie di ambientare l’intera pellicola in un unico ambiente (una stanza, stavolta), rispettando l’omonima piéce teatrale ispiratrice ("Rope" di Patrick Hamilton, a sua volta liberamente ispirata ad un reale fatto di cronaca nera). Ma le aspirazioni tecniche e stilistiche del grande regista vanno ben oltre l’unità di luogo: egli, come rimarcato anche da Truffaut, intende rispettare anche le unità di tempo e di azione (i famosi tre canoni della poetica aristotelica) facendo così coincidere, durante la narrazione, il tempo reale a quello cinematografico. In pratica l’azione che avviene nella finzione (tra le 19.30 e le 21.15 di una stessa giornata) si sovrappone esattamente con il tempo reale durante le riprese. Per ottenere questo, Hitchcock decise di girare il film in un unico e continuo piano sequenza e con audio in presa diretta, portando così alla massima esasperazione artistica la tecnica registica divenuta famosa grazie all’uso rivoluzionario di Orson Welles nel capolavoro assoluto "Quarto Potere" ("Citizen Kane", 1941). Questo fatto implicò l’abolizione completa del montaggio. Il geniale regista inglese dovette ricorrere a diversi espedienti per riuscire in questa ambiziosa "sfida": infatti, all’epoca, una bobina poteva contenere al più 10 minuti di pellicola e quindi, per consentire i cambi di rullo, Hitchcock ricorre ad effetti simili a dissolvenze, come zoomare su un oggetto a sfondo scuro o far passare qualcuno con una giacca nera davanti all’obiettivo, prima di ricollegarsi al rullo successivo. Questi espedienti visivi danno l’idea del continuo temporale ambito dal regista, anche se, per i limiti tecnici degli anni ’40, la pellicola venne di fatto girata in 10/11 piani sequenza effettivi. Questo originale ed assolutamente unico cimento tecnico registico (per alcuni un trionfo di stile, per altri un inutile ed artificioso vezzo narcisistico) è il principale motivo per cui il film è diventato famoso, passando, ovviamente, alla storia. Bisogna dire, invero, che non tutte le transizioni sono perfettamente riuscite (specialmente guardando il film oggi) e che, a volte, la tecnica usata danneggia alcuni dialoghi ed inficia l’illuminazione della scena. Proprio quello delle luci fu il problema maggiore della sfida registica voluta da Hitchcock: infatti, in diverse scene, la luce reale del momento non era adatta alle esigenze tecniche della sequenza e questo costrinse a rigirarle in un momento più appropriato. L’effetto finale è comunque soddisfacente, considerando che il film ha 60 anni, e l’intento, nonché lo sforzo eseguito, sono ammirevoli. Per riprendere il film Hitchcock utilizzò un Dolly montato su rotaie (perché la tecnica adottata necessitava di grande mobilità della camera) e, con l’ingegnoso ed artigianale sistema degli "stacchi" detto prima, riuscì ad ottenere la sensazione del continuo temporale. Al di là delle capriole registiche, il film contiene molti elementi tipici del regista quali il delitto visto come "atto estetico" fine a se stesso per infrangere la banalità del quotidiano, il vagheggiamento del crimine perfetto e, soprattutto, il voyeurismo. A un certo livello, l’intera concezione dell’opera come flusso temporale ininterrotto di 80’ può essere letta come un immenso atto voyeuristico compiuto dall’autore (che consiste nell’osservare l’azione senza mai staccare o interrompere lo sguardo). Già dalla prima inquadratura il film ha la chiarissima impronta stilistica del "mago del brivido": esso si apre con una vista panoramica della città, per poi puntare su una finestra, scostarne idealmente le tende chiuse per mostrarci l’interno della stanza che sarà teatro dell’azione (già qui con un chiarissimo atto di voyeurismo di cui Hitchcock ci rende complici). Nella stanza assistiamo alla parte finale del delitto, commesso da Brandon Shaw e Philip Morgan ai danni dell’amico David, utilizzando la corda del titolo originale. Il corpo di David viene poi nascosto in una cassapanca che fungerà da macabro tavolo per le vivande nella festa che si svolgerà in quella stanza di lì a poco. Fin dall’inizio si capisce che siamo di fronte ad un giallo atipico: infatti, già dalla prima scena ci vengono svelati gli assassini e sappiamo dove viene nascosta la vittima. Ciò stabilisce una singolare ed atipica "complicità" tra lo spettatore ed i colpevoli del delitto, non priva di suggestioni morbose, e costruisce un meccanismo ardito di suspense inversa, perché siamo noi gli unici a conoscere la verità, pur non potendola rivelare ai personaggi che vediamo interagire con i colpevoli. Il senso dell’intreccio giallo diventa quindi non più scoprire chi è l’assassino, ma se questo riuscirà a farla franca e chi riuscirà, eventualmente, a scoprire dove è nascosto lo scomparso David. Le personalità dei due assassini si rivelano molto presto: Brandon (John Dall) è quello con l’ego maggiore, è cinico, elegante, presuntuoso ed espone le sue deliranti teorie ("l’omicidio è un’arte per pochi eletti") con assoluto fanatismo. Philip (Farley Granger) è invece l’anello debole della catena, ansioso, insicuro, chiaramente soggiogato dalla personalità del complice: dimostra fin da subito di avere paura del terribile atto commesso e spesso non riesce a celare il suo nervosismo, a differenza di Brandon che vuole invece quasi sfidare il destino per auto compiacersi ed alimentare il proprio ego. In questa estetica del delitto senza alcun movente, ma come mero atto gratuito di compiacimento e di autoaffermazione, molti hanno voluto vedere influenze delle teorie superomistiche di Nietzsche e di quella ideologia nazista da cui il mondo si era appena liberato. Alcuni dettagli, svelati dal regista in modo estremamente morigerato (visti i tempi), inducono a supporre una relazione omosessuale tra Brandon e Philip, il che spiegherebbe molto meglio il rapporto morboso che si evince dai loro dialoghi. Alla festa che si terrà di lì a poco, con la cassapanca sempre al centro della scena, partecipa anche il professor Rupert Cadell (un James Stewart un po’ meno brillante del solito), uomo di grande intuito ed intelligenza, nonché vecchio mentore di Brandon. Il film ha una struttura chiaramente teatrale ed è consigliatissimo a chi ama pellicole di questo tipo: i dialoghi sono brillanti e spesso con tocchi di quell’impagabile humour macabro in cui Hitchcock era maestro. Lo sfrontato Brandon mette in atto un perverso gioco intellettuale con il suo ex professore: da un lato sembra quasi sfidarlo a svelare il delitto, dall’altro pare cercarne l’approvazione ed il consenso per aver compiuto un atto che sancisce così palesamente la sua “superiorità”. E nello sferzante dialogo tra Brandon e Cadell, tra battute pungenti e declamazioni fanatiche, si intuisce anche una vaga eco di responsabilità del professore sulla formazione delle teorie deliranti del giovane Shaw. La tensione è mantenuta costante grazie al pungente dialogo tra i due uomini, a cui si alternano le preoccupazioni per il mancato arrivo di David da parte del padre o della ragazza Janet. E mentre Philip, sempre più a disagio, si rifugia nell’alcol e sembra spesso sul punto di vacillare, l’arguto professore, insospettito dall’assenza di David, ma anche intimorito dalla spavalda esibizione di ego di Brandon, pare quasi "ritrattare" e cercare una giustificazione alle sue antiche teorie filosofiche, definendole come mere elucubrazioni teoriche. In questa concessione buonista, probabilmente dovuta per i tempi, il film perde però un tantino di forza drammaturgica e la tensione sembra allentarsi. Hitchcock però ci regala, da par suo, alcuni momenti memorabili che regalano autentica suspense: come la governante, inquadrata in primo piano per tutta la scena, che sparecchia la tavola-bara e vuole poi mettere dei libri nella cassapanca dopo averla liberata dall'ingombro. Ma anche quando il prof. Cadell trova il cappello dello scomparso David e legge le iniziali su di esso, mentre una voce fuori campo nomina casualmente il cognome del padre del ragazzo. Insomma la tensione regge ed il film avvince, sia per la maestria di Hitchcock che per la bontà dei dialoghi. Una pellicola rivoluzionaria e non da tutti amata allo stesso modo, sicuramente non è il miglior film di Hitchcock ma è veramente innovativo (per stile e tecnica) e di grandissimo fascino estetico. E' uno dei miei preferiti del grande maestro inglese. Assolutamente da riscoprire.

Voto:
voto: 4/5

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