lunedì 16 dicembre 2013

La vita di Adele (La Vie d'Adèle - Chapitres 1 & 2, 2013) di Abdel Kechiche

Il vincitore di Cannes 2013 è una storia d'amore carnale e sensuale che lascia poco all'immaginazione dello spettatore immergendolo nella vita delle due protagoniste: due ragazze lesbiche che condividono un intenso momento di vita. Il maggior difetto del film è la durata: tre ore sono davvero eccessive per una storia del genere e, soprattutto, per uno stile come quello di Kechiche (che qui esaspera ulteriormente la sua estetica): un approccio "documentaristico" in cui il verismo/Nouvelle Vague diventa esposizione ossessiva e "maniacale" di dettagli in primo piano. Dettagli (volto, occhi, bocca, parti del corpo, anche intime) funzionali alla totale "messa a nudo" (sia in senso esplicito che figurato) della protagonista, l'intensa Adèle Exarchopoulos, con il suo sguardo languido e smarrito. Il film è costruito su di lei, è una sorta di diario in presa diretta della sua vita o meglio, di quella parte, magica e terribile, del percorso umano (il passaggio dall'adolescenza alla maturità) nella quale si (e ci si) esplora alla ricerca della propria via. E la ricerca di Adele è, principalmente, sessuale perchè il sesso è sì ricerca del piacere ma è anche comprensione (ed affermazione) della propria identità rispetto al mondo che ci circonda. Dal punto di vista registico non ci sono virtuosismi, la macchina da presa "bracca" Adele/Exarchopoulos scrutandola dettagliatamente per rimandarci tutte le sue sensazioni in tempo reale con approccio quasi "scientifico". Diventiamo quindi parte della sua ricerca, delle sue esperienze, della sua crescita sessuale e delle sue relazioni. Se il prologo è preparatorio, la parte centrale è stupenda nella sua voluttuosa intensità: in essa il gioco di sguardi e primi piani diventa fertile e vitale espressionismo sensuale che non può lasciare indifferenti. Adele, letteralmente, "esplode" dallo schermo in un orgasmo liberatorio perchè sembra aver trovato la sua via nel mondo. Più debole e canonica la parte finale, principalmente perchè iper-dilatata, anche se l'epilogo ritrova forza. L'altra protagonista, Léa Seydoux, è anch'essa magnifica, ammaliante, trasgressiva, luminosa, conturbante nello sguardo e nella fisicità. Quando il blu svanisce (dai capelli di Emma) appassisce anche la passione e, quindi, l'amore. Pur non essendo un capolavoro in senso assoluto e pur peccando di ridondanza espressiva, questo film possiede personalità e fascinazione, si eleva ampiamente sopra la media e si farà di certo ricordare.

Voto:
voto: 4/5

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