lunedì 16 dicembre 2013

Ladri di biciclette (1948) di Vittorio De Sica

Nella Roma del secondo dopoguerra Antonio, che ha faticosamente ottenuto un lavoro come attacchino di manifesti per il cinema, subisce il furto della sua bicicletta mentra sta incollando il poster di "Gilda". L'uomo è disperato perchè, senza la bicicletta, non può più lavorare e sarà licenziato, con enorme danno per lui e per la sua famiglia. Aiutato dal piccolo figlio Bruno, inizia una disperata ricerca attraverso le strade di una Roma gretta e indifferente, scontrandosi con la miseria morale della gente. Vinto dallo sconforto, l'uomo decide di rubarne una a sua volta, ma sarà preso da una folla inferocita e salvato solo dal commovente intervento del figlio. Capolavoro indiscusso del neorealismo italiano e massimo risultato artistico conseguito dalla "coppia" De Sica-Zavattini. Incanta e commuove ancora oggi per la sua toccante sincerità, per come riesce a ritrarre vizi e virtù di un doloroso quotidiano, la Roma popolare del secondo  dopoguerra, trasfigurandoli in autentica poesia. Lo sguardo di De Sica è carico di pietà, ma non lesina critiche, anche aspre, al contesto sociale ed antropologico. Tra le tante sequenze alte di questo monumento del cinema mondiale, è memorabile quella nell'osteria con il gioco di sguardi tra il bambino ricco ed il bambino povero (lo straordinario Enzo Staiola che interpreta Bruno): il drammatico confronto tra due classi sociali filtrato attraverso la magia e l'innocenza dell'infanzia. De Sica ha ritratto magistralmente la lotta di classe senza bisogno di parole, nello sguardo autentico dei bambini. Autentica epopea degli umili, dura, commovente, amara, ma non priva di un soave alone di speranza per quel futuro tutto da costruire, a mani nude.

Voto:
voto: 5+/5

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