Splendido horror svedese di indubbia eleganza che riesce a
riattualizzare in modo convincente e “nuovo” il mito del vampiro,
assumendo i contorni di un melodramma oscuro che alterna tenerezza e
atrocità, innocenza ed orrore. La vicenda è quella di Oskar ed Eli, due
ragazzini che si conoscono e si innamorano in una glaciale Stoccolma.
Ma presto Oskar scopre che lei è un vampiro e che, per vivere, ha
bisogno di sangue umano che le viene procurato da un anziano fedele
servitore che si macchia di efferati delitti per saziare la sete di
Eli. Il regista sceglie di porre al centro la storia d’amore e le
inquietudini adolescenziali, lasciando fuori fuoco la parte orrorifica e
cruenta, comunque presente. Il risultato è ottimo, specie per la
delicatezza con cui è affrontato il rapporto tra i due ragazzi, senza
mai scadere nel banale o nel melenso, sebbene non manchi più di qualche
inverosimiglianza nella trama. Alcuni, esagerando, hanno parlato di “bergmaniano”,
magari per una certa affinità nelle algide ambientazioni, nei silenzi
espressivi e nel rigoroso scandaglio psicologico dei personaggi
principali. Film intenso, struggente, che alterna orrido e poetico in un
mix di sapiente registro narrativo. Può anche essere letto come
metafora di molti problemi attuali: il vampiro come “diverso”, che
subisce, soffrendo, la sua condizione di alienato ai margini del mondo
“normale”. Il titolo, pertinente ed evocativo, allude ad un’antica
credenza nordica secondo cui un vampiro non può entrare in una casa se
non espressamente “invitato”. E’ un ottimo horror d’autore, sicuramente
tra i migliori degli anni 2000, niente a che vedere (sia chiaro) con la
patetica telenovela di “Twilight” o con altri rivisitazioni, patinate e
modaiole, della mitologia vampiresca.
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