lunedì 16 dicembre 2013

Shining (The Shining , 1980) di Stanley Kubrick

Nel 1980, dopo 5 anni di assenza dal grande schermo, Stanley Kubrick si cimenta in un altro genere cinematografico: l’horror. Siamo nel periodo d’oro del grande regista che ha dato vita ad un irripetibile “filotto” con tre capolavori consecutivi come “2001: Odissea nello spazio”, “Arancia meccanica” e “Barry Lindon”. Il suo ritorno alla ribalta avviene con l’adattamento del terzo romanzo del maestro dell’horror Stephen King, “The Shining”, pubblicato nel 1977. Ma Kubrick non era certo un regista tale da accettare passivamente un soggetto nella sua interezza senza reinterpretarlo a modo suo, filtrandolo attraverso la sua sensibilità artistica fino ad imporre la sua visione e la sua ossessione del “controllo”. In modo particolare su “Shining”, egli scorse delle prospettive diverse dall’autore del romanzo, e, pur rispettando in buona parte lo spirito del libro, apportò dei cambiamenti davvero importanti, accantonando molte cose presenti nel racconto di King, ma soprattutto aggiungendo dei rilevanti cambiamenti a certe parti della storia. Il risultato finale di questa rilettura personale è una storia angosciosa e inquietante che sembra più interessata ai risvolti psicologici della mente umana, che alla materia horror paranormale (sebbene questa sia comunque presente). La cosa fece infuriare non poco Stephen King, che disconobbe pubblicamente il film come adattamento del suo romanzo ed entrò in aperta polemica con il regista. Al di là di ogni disputa letteraria, “Shining” resta un capolavoro horror, sebbene inferiore alle opere maggiori del grande regista americano. Il film è diviso in diverse unità narrative temporali: “Il colloquio”, “Chiusura invernale”, “Un mese dopo”, “Martedì”, “Sabato”, “Lunedì”, “Mercoledì”, “ore 16”. Queste sezioni sono consecutive dal punto di vista cronologico (a meno di una singolare eccezione costituita dall’ultima) ma non contigue e di lunghezza sempre diversa. L’ultima tranche , e in particolare il finale del film, sovvertono la regola della “normale” consecutio, tramite un effetto circolare già utilizzato da Kubrick nel maestoso finale di “2001”. Come al solito stile, tecnica e regia sono su livelli eccelsi: indimenticabili le disturbanti riprese angolate o il brillante uso della Steadycam per fornire la prospettiva del piccolo Danny che gira sul triciclo nei corridoi dell’Overlook Hotel. Anche la recitazione, titanico Jack Nicholson ma molto brava anche Shelley Duvall, è di altissimo livello. Kubrick, che era perennemente interessato all’uomo, come elemento centrale di ogni sua opera, predilige lo scandaglio psicologico e l’esplorazione della mente, disturbata, del protagonista, piuttosto che l’elemento soprannaturale, trasformando il tutto, ad un certo livello, in un dramma di follia domestica, pervaso dalla consueta misantropia tipica dell’autore. Ma lo stile glaciale ed asettico, anch’esso tipicamente kubrickiano, poco si addice ad un horror ed infatti il film ne risente dal punto di vista emozionale. E’, dunque, un horror atipico, e unico nel suo genere; di altissimo livello ed imperdibile, come tutte le opere dell’autore.

Voto:
voto: 4,5/5

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