lunedì 16 dicembre 2013

Il grande Lebowski (The big Lebowski, 1998) di Ethan Coen, Joel Coen

Jeffrey “Drugo” Lebowski è un ex hippie pacifista, pigro, trasandato e indolente che affronta la vita con flemmatica leggerezza tra partite a bowling con i suoi bizzarri amici, robusti drink a base di White Russian e fumate di marijuana. Per un caso di omonimia con un ricco magnate invalido, dalla moglie giovane, bella e lasciva, si trova coinvolto, suo malgrado, in rocambolesche vicende, tra rapimenti, riscatti, personaggi grotteschi, nichilisti, artisti squinternati e pornografi. Ma il “Drugo” affronterà le pericolose e surreali situazioni a modo suo, con l’aiuto dei suoi maldestri compari. “Il grande Lebowski” è un'irresistibile, brillante, scoppiettante ed irriverente parodia del noir hard boiled, creato da Dashiell Hammett e Raymond Chandler negli anni '20 e '30 del secolo scorso, con lo svogliato ed obnubilato “Drugo” in luogo di Sam Spade o di Marlowe. Tutti gli ingredienti del genere sono infatti presenti: un uomo ricco e potente che incarica un detective di una missione pericolosa, la dark lady fascinosa ed enigmatica, una galleria di figuri loschi, ambigui e poco rassicuranti, l’ambientazione metropolitana (Los Angeles) ed una trama complessa, densa di intrecci e di tranelli, con continui colpi di scena sempre dietro l’angolo. Questi elementi, tipici del noir americano classico, vengono abilmente rimescolati e reinterpretati con uno stile frizzante e scanzonato, che si compiace apertamente del suo non prendersi mai sul serio, con un'ironia pungente e disarmante, dando a vita ad una memorabile serie di situazioni eccentriche, personaggi grotteschi e memorabili dialoghi nonsense. Magistralmente diretto dai geniali fratelli Coen, questa pellicola ha definitivamente consacrato i due fratelli di Minneapolis come cineasti di prima grandezza, ed è per molti (compreso il sottoscritto) il loro film migliore. Autori intelligenti, irriverenti e sofisticati, da sempre devoti alla libertà espressiva del cinema indipendente americano piuttosto che alla politica di appiattimento creativo delle grandi major, i Coen realizzano, con quest’opera, il loro primo film apertamente comico, dopo l’energica “follia” di “Arizona Junior” (1987). Ma i due fratelli lo fanno, ovviamente, alla loro maniera, utilizzando tutti gli stereotipi dei generi e dei modelli a loro cari, come il noir, il gangster movie, la contro cultura anni ’60, il musical e persino il western, centrifugandoli con un'ironia ricercata e caricaturale, a tratti davvero travolgente. Il risultato è un cult assoluto, con un cast straordinario ed una galleria di personaggi e situazioni che sono entrati, a pieno diritto, nell'immaginario collettivo. Tutto ruota intorno alla figura centrale di Jeffrey Lebowski (un Jeff Bridges amabile e sornione), che ci viene subito presentato come l’uomo più pigro ed indolente della “città degli angeli”. Egli è un individuo di mezza età, sciatto, immaturo, con poca voglia di lavorare, nostalgico pacifista ex “figlio dei fiori”, che trascorre le sue giornate ciondolando in bermuda ed accappatoio e consumando droghe leggere e cocktail white russian. Da tutti conosciuto come “The Dude” (maldestramente tradotto in italiano come “il drugo”), egli è l’antieroe per eccellenza, ironico, disincantato, che fugge dalle responsabilità e che gioca con la vita senza mai venirne soggiogato. L’unico suo reale interesse è il bowling, gioco in cui eccelle ed in cui si cimenta con i suoi stravaganti amici: Walter Sobchack (un irresistibile John Goodman), un pittoresco reduce dal Vietnam, burbero ed attaccabrighe, sempre pronto a sventolare la sua (presunta) odissea militare in faccia a qualcuno, e Donny (Steve Buscemi), emotivo, timido, pieno di manie e puntualmente vilipeso dai suoi compagni. I Coen ci accompagnano in questa paradossale vicenda, sempre sopra le righe ed all’insegna di un accattivante nonsense, in cui è impossibile non essere stregati da personaggi come il “drugo” o Walter, che appaiono sempre fuori luogo e fuori tempo rispetto agli eventi, ma che riescono incredibilmente a cavarsela un po’ per fortuna ed un po’ per quel loro candore di adorabili canaglie. Chiaramente ispirato nella struttura al romanzo “Il grande sonno” (“The big sleep”) (1939) di Chandler, questa pellicola è un autentico gioiello, che alterna dialoghi brillanti, ritmo serrato, citazioni e riferimenti colti, atmosfere sessantottine, un impagabile humour nero al limite del cinismo, situazioni folli e surreali, momenti kafkiani e persino delle eleganti sequenze oniriche che strizzano l'occhio ai musical di Berkeley (come non citare il sogno del “drugo” che prima vola sul tappeto nei cieli di Los Angeles e poi balla con Maude su una pista da bowling). I Coen si divertono e si compiacciono nel sovvertire l’immaginario cinematografico convenzionale, con trovate irriverenti che lasciano il segno, e con la consueta caustica perfidia nel tratteggiare situazioni all'insegna del paradossale nichilismo. Tantissime le scene culto di questo capolavoro della leggerezza e del disincanto, che però brilla anche di alto magistero registico. Pur essendo nato come prodotto tipicamente di nicchia, questa goliardica apologia dell’assurdo ha avuto un grande successo di pubblico, è molto amato dal popolo di internet ed ha un enorme schiera di fans. Chiaramente imperdibile, per coloro che non lo avessero visto.

Voto:
voto: 4,5/5

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