domenica 15 dicembre 2013

L'età dell'innocenza (The Age of Innocence, 1993) di Martin Scorsese

New York, fine '800: Newland Archer, giovane avvocato dell'alta società, ama follemente, ricambiato, la contessa Ellen Olenska, donna libera e anticonformista che ha appena lasciato il marito, ma, schiacciato dal peso del perbenismo della sua casta, non può abbandonarsi a questo sentimento "sconveniente" e finisce per sposare pavidamente la più convenzionale cugina. Capolavoro di Scorsese, un sopraffino melodramma tanto fiammeggiante nella sfarzosa impaginazione estetica, quanto pudicamente reticente nell'esplicitazione dei sentimenti, che pulsano potenti e latenti, come un incendio che avvampa sotto la cenere, regolando così il tono intimamente struggente dell'opera. Un melodramma che ritrae un mondo (la New York "bene" del 1870) raffinato ed elegante ma regolato da rigide regole di classe e da un pedante conformismo di facciata. La violenza, stavolta mai esplicitata, è tutta interiorizzata nella remissiva accettazione delle occasioni perdute. Grande cast, con una Michelle Pfeiffer superlativa, magistrale regia classica, imponente ricostruzione storico ambientale, sontuose scenografie, fotografia "preziosa". Un immenso omaggio al nostro Visconti per la cura maniacale dei dettagli scenici e l'opulenza visiva, in un film che "celebra" la rinuncia come strenuo meccanismo di difesa di un ideale di mondo "antico", ma che è anche un'impietosa critica del regista verso quella società del perbenismo fasullo, tipicamente americano. Scorsese utilizza abilmente una palette espressiva di tre colori per caratterizzare i temi cardine del film: il rosso (la passione bruciante ma dolorosa, perchè inespressa), il giallo (lo spirito libero di Madam Olenska, che la rende affascinante ma la condannerà alla solitudine) ed il bianco (l'assenza di risalto icastico dell'aristocrazia benpensante). La pellicola fu premiata con il solo Oscar ai costumi (all'italiana Gabriella Pescucci) ma ne meritava sicuramente di più. Tratta dal romanzo omonimo di Edith Wharton, è una delle opere più intense, atipiche e talentuose della carriera di Martin Scorsese.

Voto:
voto: 5/5

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