In un luogo e in un tempo non identificati, appare all'improvviso dal mare un ragazzo biondo androgino, stranito e confuso, con indosso delle cuffie da deejay, che ripete in continuazione il suo nome, Kaspar Hauser, come un mantra misterioso, ma non riesce a dire nient'altro. Alieno in un mondo da post apocalisse, Hauser s'imbatte in stravaganti personaggi che hanno reazioni diverse al suo cospetto: uno strambo sceriffo texano che lo alleva a pane e acqua e gli insegna la tecno music con metodi non proprio ortodossi. Uno spacciatore eccentrico vestito di un bianco sgargiante, un prete bandito dalla parlata pugliese, una volgare duchessa in abito nero ed una veggente di facili costumi. La presenza di Hauser, percepito a metà tra un "messia" e un impostore, crea curiosità e sconcerto, affetto e paura, e metterà a nudo gli equilibri di potere di questo mondo surreale. Il quarto lungometraggio di Davide Manuli (misconosciuto regista lombardo che ha frequentato l'Actors Studio di New York, ma ha sempre operato nei percorsi cinematografici "underground") è un raro esempio di film italiano indipendente altamente sperimentale, quasi un unicum nel panorama contemporaneo del nostro cinema. Un "piccolo" film estroso e originale, capace di costruire (con pochi mezzi e molte idee) un immaginario visivo pregnante, metaforico, visionario, uno scenario distopico fantastico che unisce elementi anacronistici a suggestioni post moderne, le cui figure sono degli evidenti simboli archetipali, invero non sempre chiarissimi. Ma il regista ha coraggio, ha personalità e impone con creatività la sua visione e la sua personalissima rilettura in chiave allegorica del mito di Kaspar Hauser, il "ragazzo selvaggio" comparso come dal nulla nella Norimberga di fine '800 e poi ucciso, a 21 anni, dai suoi stessi educatori, che ne erano affascinati e terrorizzati al tempo stesso. Questa storia, di evidente fascinazione e di forte significato recondito, è stata già portata al cinema più volte, anche da grandi maestri come Werner Herzog, L'enigma di Kaspar Hauser (Jeder für sich und Gott gegen alle, 1974), o (con liberissima ispirazione) François Truffaut, Il ragazzo selvaggio (L'enfant sauvage, 1970). Manuli, molto saggiamente, evita ogni tipo di confronto con le versioni del passato e propone la sua singolare trasposizione, con una splendida fotografia in bianco e nero, una messa in scena minimale da "day after" e l'aggiunta di elementi tipici del genere fantascientifico come i dischi volanti. Con una perfetta fusione tra musica e immagini, ed un cast apparentemente "strampalato" (Vincent Gallo, Claudia Gerini, Silvia Calderoni, Elisa Sednaoui, Fabrizio Gifuni) ma funzionale alle esigenze, il risultato finale è un'opera ermetica e sfuggente, di grande fascino ipnotico, una sorta di parabola ancestrale sulla paura del "diverso" in forma di utopia negativa atemporale, con suggestioni cristologiche che ne esaltano la dimensione mitica. E' un film per cinefili e per amanti dei prodotti d'avanguardia, assolutamente da non perdere.
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