Attilio, insegnante di letteratura e poeta, separato dalla moglie, ha appena pubblicato una raccolta dei suoi componimenti, intitolato "La tigre e la neve". Sognatore romantico e ottimista, l'uomo è follemente innamorato di Vittoria, una critica letteraria che però sembra non accorgersi di lui. Quando la donna parte per Baghdad per intervistare Fuad, un poeta iracheno rientrato in patria dall'esilio proprio in coincidenza con lo scoppio della guerra, Attilio, preoccupato, decide di raggiungerla. In un paese sconvolto da annosi conflitti, il testardo innamorato non si fermerà davanti a nulla per aiutare la sua amata, rimasta gravemente ferita dopo lo scoppio di una bomba. L'ottavo (e al momento ultimo) lungometraggio di Roberto Benigni regista è una storia d'amore fiabesca che si svolge tra commedia e dramma, oscillando tra picchi di comicità farsesca e momenti di cupa tragicità. Lo schema narrativo-emotivo è il medesimo de La vita è bella (1997), di cui il comico toscano cerca di bissare il grande successo mondiale con un film ugualmente pretenzioso, che spazia attraverso tanti (troppi) temi come la forza dell'amore, il potere della poesia, l'orrore della guerra, la fiducia utopistica nei valori alti dell'uomo (e dell'arte) come unica possibilità di salvezza per l'umanità. A questo vanno aggiunte riflessioni di satira politica sull'inutilità dell'intervento armato americano in Iraq e retorica moralistica sulla necessità della speranza. Siamo, evidentemente, dalle parti del delirio egocentrico narcisistico perchè, oggettivamente, Benigni regista è davvero un autore di esile consistenza e mai e poi mai avrebbe potuto condurre degnamente in porto un progetto tanto ambizioso. Il risultato finale è una delusione assoluta, un film fiacco e incolore, stanco e ripetitivo, a tratti noioso e irritante, di cui si può salvare solo qualche fulminante battuta nella parte centrale (in cui Benigni si diletta nel suo ruolo prediletto di frenetico giullare) e la buona interpretazione di Jean Reno, apprezzabile anche per il suo sforzo di recitare in italiano. Il solito stucchevole duetto amoroso tra Benigni e sua moglie Nicoletta Braschi è diventato talmente monotono da risultare indigesto anche per il pubblico più frivolo e melenso. Tra banalità prolisse, inciampi narrativi, dialoghi imbarazzanti ed una fastidiosa sensazione generale di acida supponenza, il film è un autentico disastro, massacrato dalla critica e molto deludente anche dal punto di vista degli incassi. Non a caso Benigni, dopo questo flop, non ha più diretto nessun altro film. Persino la colonna sonora del bravo Nicola Piovani appare come un corpo estraneo, in un progetto che sembra essere stato scritto utilizzando la mano "sbagliata".
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