martedì 7 settembre 2021

Rosso Istanbul (Istanbul Kirmizisi, 2017) di Ferzan Ozpetek

Orhan Sahin, scrittore turco in "esilio" volontario a Londra, torna nella sua Istanbul per lavorare come editore all'autobiografia di un famoso regista, Deniz Soysal, che ha scritto un libro, sincero e appassionato, sui suoi ricordi giovanili, sugli amori, sulle amicizie e sulla famiglia. Quando Soysal svanisce misteriosamente, Sahin porta avanti il suo compito con inaspettato coinvolgimento, incontrando alcuni dei protagonisti del racconto ed entrando in punta di piedi nella vita del regista. Molto presto l'indagine letteraria diventa crescente ossessione, Sahin si sente toccato in prima persona, gli tornano in mente ricordi che credeva sepolti ed inizia a sovrapporre, sentimentalmente, frammenti dell'esistenza del regista con altri che riguardano la sua. Questo dramma intimistico di stile rarefatto e di onirica fascinazione, tratto dal romanzo omonimo scritto dallo stesso regista e dedicato a sua madre, segna il ritorno di Ferzan Ozpetek alla sua terra d'origine, 18 anni dopo Harem Suare (1999). E' un film "del cuore", un viaggio sentimentale dell'autore nel suo passato e nelle suggestioni "magiche" del suo paese natale, girato interamente in Turchia, con attori autoctoni e in lingua turca. I punti di forza dell'opera sono la spettacolare fotografia evocativa di Gian Filippo Corticelli, che ci restituisce tutto l'incanto misticheggiante della "perla del Bosforo", e poi l'ottima recitazione di un cast poco conosciuto in Italia, in cui spiccano Halit Ergenç, Nejat Isler e Tuba Büyüküstün. Ovviamente immancabile la presenza di Serra Yılmaz, da sempre attrice feticcio dell'autore. Peccato però che Ozpetek si faccia coinvolgere troppo nel progetto a livello emozionale e risulti poco lucido a livello narrativo, in altalena tra verbosità e sentimentalismo, estetizzante fino ai limiti del manierismo nello stile, alla costante ricerca di un'anima per una storia palpitante ma irrisolta, troppo sfilacciata nei suoi rivoli della memoria. Il contrasto tipico tra angoscia e desiderio, che è la base drammaturgica di tutto il cinema dell'autore, appare qui latitante o flebile, tranne che nell'intensa scena di dialogo tra Orhan e Neval, che costituisce il climax emotivo della pellicola. E' un film un po' troppo imbellettato nella sua sontuosa estetica, che ne tarpa lo slancio creativo e ne riduce il respiro poetico.
 
Voto:
voto: 3/5

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