Ritratto romanzato dell'attrice americana Jean Seberg, che nel 1960 divenne un'icona immortale della Nouvelle Vague francese grazie al ruolo di protagonista, insieme a Jean-Paul Belmondo, nel capolavoro Fino all'ultimo respiro (À bout de souffle) di Jean-Luc Godard. Donna appassionata e indipendente, fervente liberale anticonformista e grande sostenitrice della causa dei diritti civili, la Seberg si legò sentimentalmente all'afroamericano Hakim Jamal, attivista del movimento rivoluzionario delle "Black Panther", finendo nel mirino di una sezione segreta dell'FBI che teneva sotto stretta sorveglianza i nemici politici interni degli Stati Uniti. Il giovane e ambizioso agente federale Jack Solomon viene incaricato di seguire come un'ombra i movimenti dell'attrice, ma ben presto l'indagine lo metterà di fronte ad un arduo bivio di natura morale. Dramma biografico con sfumature da thriller di Benedict Andrews sulla vita tormentata di Jean Seberg, musa del cinema d'autore francese, emblema glamour di stile e simbolo sfrontato di emancipazione in una società come quella degli anni '60, scossa da fremiti di rivolta, conflitti interni, utopie ideologiche e paranoie reazionarie. Non poteva esserci attrice più adatta di Kristen Stewart (ex starlet di blockbuster per adolescenti convertitasi al cinema d'autore) per interpretare la compianta Jean Seberg, non solo per l'incredibile somiglianza fisica ma anche per l'ideale convergenza nel carattere, nello stile e nei comportamenti secondo la percezione dell'immaginario collettivo. La Stewart fa un lavoro egregio nel sovrapporre l'immagine della Seberg alla sua e ci restituisce un'interpretazione intensa, vibrante, passionale, in un toccante mix di sensualità, fragilità, determinazione, audacia, altruismo e narcisismo. Peccato che il film, convenzionale, didascalico, grossolano nei temi politici e banale in quelli sentimentali, non sia alla stessa altezza della prova dell'attrice, risultando privo della necessaria profondità di sguardo e lucidità di analisi. La scelta di focalizzarsi sul "pedinamento" della Seberg/Stewart (la macchina da presa si sovrappone allo sguardo del detective Solomon, rimanendo costantemente "incollata" sul viso e sul corpo dell'attrice) e lasciare fuori fuoco tutto il resto, rende la pellicola estremamente esile dal punto di vista storico, politico e sociale, riducendola ad una mera mitizzazione dell'immagine della diva, una "cartolina" patinata e malinconica che dimentica tutto il potente sottotesto connesso alla tragica vicenda.
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