mercoledì 19 luglio 2017

Crazy Heart (Crazy Heart, 2009) di Scott Cooper

Bad Blake è un cantante country  in crisi e un uomo sfatto da troppa vita, troppo alcool, troppe sigarette, troppe storie d'amore (con quattro matrimoni falliti), troppi debiti e troppo tempo trascorso sulla strada. Come se non bastasse il disincantato Blake deve anche sopportare un ex pupillo che prima suonava nella sua band e adesso, diventato ricco e famoso, lo snobba clamorosamente non concedendogli spazio nell'apertura dei suoi concerti. L'incontro con Jean, intraprendente giornalista musicale che ha la metà dei suoi anni, porterà a Blake un nuovo amore, nuova energia e nuova voglia di lottare. Tratto dal romanzo omonimo di Thomas Cobb, questo struggente dramma musicale suona un po' come un malinconico refrain sul tema del vecchio campione ormai ammuffito dal tempo e dai vizi, che lo hanno reso un dimesso perdente in cerca di riscatto. Niente di nuovo insomma, per una storia tipicamente americana, che solitamente piace tanto agli americani (tradizionalmente attratti dalle storie sulla "seconda occasione") e che, non a caso, affonda le mani nelle radici della musica americana: il country. La musica country in America è memoria del passato, ballata popolare, tensione spirituale, sentimento nostalgico, esperienze vissute, tormento interiore e identità territoriale, oltre che espressione artistica. Crazy Heart racconta anche una sgualcita storia di provincia, esposta al caldo sole del sud, sporcata dalla sabbia del deserto, plasmata dal vento e addolcita dal gusto del whisky. In tal senso alcuni personaggi sembrano poco appropriati mentre è perfetta la scelta dell'attore protagonista, Jeff Bridges, che dà luogo ad un "one man show" da applausi con una performance di grande umanità e dolente intimismo. Il grande attore, che si è dato anima e corpo al progetto cantando anche tutte le canzoni con la sua vera voce, tratteggia magnificamente un tranquillo loser autodistruttivo indurito dal tempo, che trattiene dentro di sé la rabbia che lo corrode dall'interno come un letale parassita. Scontroso e solitario, il suo personaggio ha i connotati di un poeta maledetto alla deriva che ha seppellito il suo genio sotto troppe delusioni. Al di là di questo il film si muove nei classici canoni di un prevedibile melodramma di provincia, senza particolari lampi registici, scivolando sobriamente verso il finale atteso. Da segnalare anche la bella prova di Maggie Gyllenhaal che riesce a costruire una credibile controparte femminile del ruvido Blake. Alcune scene che li vedono coinvolti in  intensi duetti drammatici sono da antologia della recitazione. Meritato l'Oscar a Bridges (il primo della sua lunga carriera) come miglior protagonista che, unito a quello per la miglior canzone, consente alla pellicola di aggiudicarsi due prestigiose statuette dorate. Completano il cast il sempre grande Robert Duvall (che figura anche come produttore esecutivo) e Colin Farrell. Se ne consiglia la visione in lingua originale per apprezzare ancora meglio la grande interpretazione di Jeff Bridges.

Voto:
voto: 3/5

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