Donato Giuranna, vecchio contadino delle Murge, convoca i suoi tre figli per telegramma dopo la morte improvvisa della loro madre. I tre fratelli (Raffaele giudice a Roma, Rocco insegnante in un riformatorio di Napoli e Nicola operaio a Torino) si ritrovano nella vecchia casa paterna e, in attesa del funerale, trascorrono una notte insieme tra ricordi, rimpianti, sogni e discussioni su temi sociali e politici. Dopo la cerimonia funebre ciascuno tornerà alla sua vita, con la sensazione che la prolungata distanza e le diverse attitudini hanno prodotto divergenze caratteriali difficilmente conciliabili. Dal racconto "Il terzo figlio" di Andrej Platonov, Francesco Rosi ha tratto un nuovo lucido affresco, in forma di dramma familiare, del meridione d'Italia, con uno sguardo lucidamente introspettivo che opera dal di dentro, ponendosi in bilico tra pubblico e privato. Tra rabbia, utopia e disincanto, l'autore traccia un problematico apologo sulla situazione politico sociale italiana dei primi anni '80 ed un pungente bilancio, in perdita, della generazione degli "anni di piombo", che, agli occhi dei maturi intellettuali di sinistra, ha miseramente fallito i suoi propositi rivoluzionari. Sincero e coinvolgente, a tratti didascalico nei passaggi e schematico nei dialoghi, è una summa dei temi cari al regista che procede a scossoni tra momenti alti e qualche battuta a vuoto. La tensione strisciante che emerge nel rapporto tra i tre fratelli così diversi nei modi, nei pensieri e nelle aspirazioni si fa metafora di un paese diviso, fazioso, litigioso e incapace di far fronte comune davanti al pericolo del terrorismo. Due sequenze sono da antologia: il flashback con la madre che smarrisce la fede nuziale e l'omicidio del giudice sull'autobus. Notevole il cast con Michele Placido, Philippe Noiret, Vittorio Mezzogiorno, Charles Vanel e Maddalena Crippa. Il film fu candidato agli Oscar 1982 come miglior film straniero, ma la statuetta andò a Mephisto di István Szabó.
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